Mercoledì, 17 Luglio 2024

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L’evasione dal carcere di Giovanni Roveda. Una storia di eroica Resistenza

Ottant’anni fa, il 17 luglio 1944, un commando di sei partigiani dei Gruppi di Azione Patriottica compì una fra le più straordinarie ed eroiche imprese della lotta di Liberazione: l’assalto al carcere degli Scalzi di Verona per liberare il sindacalista comunista Giovanni Roveda, che ricoprirà poi l’incarico di Segretario generale della Fiom dal 1946 al 1956.

Roveda, tra i protagonisti dell’occupazione delle fabbriche nel 1920, Segretario della Camera del Lavoro di Torino prima dell’avvento della dittatura fascista e tra i fondatori del Partito Comunista nel 1921, già evaso da Ventotene nel marzo 1943 e divenuto, dopo la caduta di Mussolini, Vicecommissario dell’Organizzazione dei lavoratori dell’industria, fu tra i dirigenti che, guidati da  Bruno Buozzi, ricostruirono il sindacato libero e unitario durante la breve parentesi del Governo Badoglio. Dopo l’8 settembre 1943 fu catturato a Roma dalla spietata banda Koch mentre si nascondeva in un convento e tradotto a Verona. Il carcere degli Scalzi era considerato il carcere di massima sicurezza della neo-costituita Repubblica Sociale Italiana, dove in quel momento erano detenuti anche i gerarchi fascisti – poi fucilati nel gennaio 1944 – che avevano votato l’ordine del giorno Grandi per deporre Mussolini nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943.

A seguito dell’uccisione di Buozzi da parte dei nazisti in fuga da Roma il 4 giugno 1944, per i comunisti la liberazione di Roveda diventava prioritaria, per rimettere in libertà una delle figure di spicco del movimento operaio e contribuire così ad attuare quella saldatura tra lavoratori e forze partigiane che avrebbe condotto nell’aprile 1945 all’insurrezione delle città del Nord Italia.

Per questa azione vengono individuati i giovani gappisti veronesi - e in buona parte ex militari - Berto Zampieri, Lorenzo Fava, Danilo Preto, Vittorio Ugolini e Emilio Moretto (detto “Bernardino”), guidati dal caposquadra Aldo Petacchi, giunto appositamente da Milano. Petacchi aveva 28 anni, era un partigiano esperto che aveva partecipato alla battaglia di Porta San Paolo a Roma già nel settembre 1943, rispondeva direttamente al Commissario generale delle Brigate Garibaldi Pietro Secchia ed era l’unico che conosceva personalmente Roveda, avendo condiviso con lui un lungo periodo di confino proprio a Ventotene.

Alle 18.30 del 17 luglio i gappisti giunsero di fronte al carcere su un’automobile nella quale restò Zampieri pronto per la fuga del gruppo. Moretto, vestito in abiti eleganti, bussò alla porta del carcere e riuscì a farsi aprire fingendosi un ufficiale della polizia fascista, disarmando subito la guardia al cancello. Il gruppo entrò nel carcere e si diresse al primo piano dove in quel momento Roveda era a colloquio con la moglie Caterina, che svolgeva un ruolo di collegamento in quelle giornate tra i gappisti e il marito e che si diede subito alla fuga facendo perdere le proprie tracce. Dopo aver disarmato altre guardie i gappisti e Roveda presero la via dell’uscita ma in quel momento una raffica di spari dalle finestre degli uffici del carcere li investì. In quattro rimasero seriamente feriti ma, nonostante questo e la macchina crivellata di colpi che dovette essere riavviata a spinta sotto il fuoco nemico, riuscirono a fuggire.

L'azione durò in tutto cinque minuti. Roveda, ferito all'inguine, e Zampieri, ferito al femore, si misero in salvo con Petacchi, raggiungendo il rifugio predisposto per loro. Moretto, con un polmone perforato, restò alla guida dell'auto con a bordo Ugolini, Preto e Fava. I due feriti più gravi Preto e Fava non ebbero neanche le forze di abbandonare l’auto e di darsi alla fuga: vennero catturati dalla Guardia Nazionale Repubblicana nella notte all’interno dell’auto posteggiata in periferia, in attesa che i loro compagni tornassero a recuperarli. Preto morì poco dopo il suo arresto, mentre Fava venne torturato senza rivelare eroicamente nulla e fu fucilato dai fascisti il 23 agosto 1944. La famiglia ritrovò il suo corpo, seppellito anonimamente nel cimitero  veronese, solo a guerra conclusa.

Danilo Preto quando cadde aveva 22 anni. Giovanissimo militante comunista già sotto il regime fascista, subito dopo l’8 settembre 1943 abbandonò il suo Reggimento di fanteria e entrò nella Resistenza tra le fila dei Gap veronesi. Preto, per il suo ruolo nell’assalto al carcere degli Scalzi, è stato insignito della medaglia d’oro al valor militare.

Lorenzo Fava quando venne torturato e fucilato aveva 25 anni. Studente di Legge all’Università di Padova, si arruolò negli negli Alpini e combatté in Montenegro dove si distinse sul campo. Dopo l’Armistizio rientrò in Italia e si diede alla macchia entrando nella Resistenza tra le fila dei Gap veronesi. Insieme ai suoi compagni compì diversi attentati dinamitardi per ostacolare l’occupazione nazista del Veneto, tra cui quelli alla linea ferroviaria del Brennero e ai tralicci telefonici. Fava, per il suo ruolo nell’assalto al carcere degli Scalzi, è stato insignito della medaglia d’oro al valor militare.

Il 25 settembre 1991 il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga conferì al Comune di Verona la medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione: “Il 17 luglio del 1944 un gruppo di partigiani penetrò nel carcere degli "Scalzi" con l' obbiettivo di liberare dirigenti del movimento antifascista nazionale. Tale contributo di sangue, i bombardamenti, le persecuzioni, le distruzioni di interi paesi, sia nella pianura che nelle valli prealpine, non scalfirono ma rafforzarono la lotta delle popolazione di Verona, degna protagonista del secondo Risorgimento Italiano.”

Dopo l’evasione dal carcere degli Scalzi Giovanni Roveda rientrò nella sua Torino per guidare, in clandestinità, la lotta di Liberazione, divenendo il primo Sindaco di Torino liberata nel 1945.
Nel 1946 venne eletto Deputato all’Assemblea Costituente con il Pci e, dopo un breve passaggio come Segretario della Camera del Lavoro di Torino, ricoprì il ruolo di Segretario generale della Fiom nazionale dal 1946 al 1956, per poi passare alla guida della Federazione Sindacale Mondiale dei metallurgici.

Giovanni Roveda morì nel 1962 all’età di 68 anni per una flebite, causata da una pallottola che lo aveva colpito durante l’evasione dal carcere del 1944 e che non era mai stato possibile estrargli.

Bibliografia:
    • Gianfranco De Bosio, Fuga dal carcere. 1944. La liberazione di Giovanni Roveda, Neri Pozza Editore, Vicenza 2021;
    • Andrea Martini, Federico Melotto (a cura di), Un carcere, un assalto. Repressione fascista, gappismo e Resistenza a Verona, Viella, Roma 2019;
    • Berto Perotti, Attilio Dabini; Maurizio Zangarini (a cura di), Assalto al carcere. La storia e il racconto della liberazione di Giovanni Roveda dal carcere veronese “degli Scalzi”, Cierre Edizioni, Verona 1995;
    • Giovanni Roveda, Come evasi dagli “Scalzi”, in “l’Unità”, 9-12-13-14-16-20-23 gennaio 1949.

La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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