L’automotive in Italia è in transizione o rischia di scomparire? È a questa domanda che la classe dirigente politica e imprenditoriale deve rispondere prima che sia troppo tardi.
I metalmeccanici da tempo chiedono alle imprese e al governo una reale assunzione di responsabilità investendo sul lavoro che crea la mobilità di oggi e di domani.
Lo stato dell’industria dell’automotive in Italia è evidente a tutti. L’onda lunga della riduzione produttiva di Stellantis sta coinvolgendo anche la componentistica della filiera italiana. Non è un effetto della transizione tecnologica ed ecologica; anzi, la mancanza di una politica industriale sostenuta dalla Commissione Europea e dai singoli Paesi, mette a rischio pure la transizione. Il crollo produttivo dagli anni Novanta in poi, la desertificazione dei marchi, la scomposizione societaria, il blocco all’ingresso di altri produttori, hanno preceduto la transizione, rendendo l’Italia più fragile in un contesto sempre più difficile. I tavoli al Mimit sono una novità importante, ma è ora di avere risultati.
Fim, Fiom e Uilm hanno sottoscritto con Federmeccanica un documento sul settore in cui la transizione – tecnologica ed ecologica - viene affrontata rilanciando la capacità produttiva investendo sul lavoro industriale con proposte concrete, confrontandole con le politiche pubbliche degli altri Paesi europei. Al governo chiediamo risposte; investire quasi 1 miliardo in incentivi all’acquisto non ha avuto alcuna ricaduta su produzione e occupazione. Nessuna risposta da Stellantis e dal governo è arrivata allo sciopero di metalmeccanici e cittadini in piazza a Torino per un accordo di rilancio del settore. In queste settimane abbiamo letto l’articolo dell’ad Tavares, l’intervista al presidente Acea De Meo: è chiaro che, senza interventi urgenti, la situazione diventerà drammatica. È necessario un confronto tra imprese, istituzioni e lavoratori per evitare che il vaso di coccio Europa si rompa tra Atlantico e Pacifico. Coscienti che la transizione non si fa senza o contro i lavoratori. È ora che gli utili siano investiti in ricerca, lavoro e non dividendi.
Abbiamo chiesto a Palazzo Chigi di convocare l’amministratore delegato di Stellantis e i sindacati per promuovere un’intesa che fermi la riduzione dei volumi, modelli e lavoratori.
Nel silenzio è stata chiusa Grugliasco, è ferma la transizione di Termoli, ridotta la ricerca e sviluppo a Modena, la cassa integrazione imperversa a Mirafiori e negli impianti del Sud, continua la riduzione degli occupati diretti e dell’indotto, è stata annunciata la vendita del Comau.
Il quadro è duro ma va affrontato per fermare una morte lenta che non è inevitabile. È ora di attirare nuovi produttori. Che Stellantis riapra il dialogo per favorire lo sviluppo e gli investimenti attraverso la condivisione di un piano. È ora di investire in ricerca e sviluppo della mobilità – auto, bus, treni, tram e veicoli commerciali - per costruire un’economia di scala delle tecnologie di propulsione e delle dotazioni ICT.
La transizione tecnologica ed ecologica della mobilità la creano, progettano, fabbricano i metalmeccanici: per azioni concrete che attraverso il lavoro diano dignità al Paese.
Articolo pubblicato su "Il Sole 24 ore" del 27 luglio 2024