Confronto tra ambientalisti e metalmeccanici nella due giorni organizzata a Torino da Sbilanciamoci per ragionare di mobilità sostenibile, di decarbonizzazione, del futuro dell’automobile e del lavoro legato a queste trasformazioni. Un incontro da cui sono scaturite proposte interessanti, con il contributo di esperti universitari e anche di rappresentanti delle aziende.
Sono stati due giorni intensi di confronto animato, l’evento organizzato da Sbilanciamoci e Fiom Piemonte a Torino da una idea di Giulio Marcon e Giorgio Airaudo, per ragionare di mobilità sostenibile, del futuro dell’automobile e del lavoro legato a queste trasformazioni.
Ambientalisti e metalmeccanici a confronto, partendo dalla crisi dell’auto, dai piani per la decarbonizzazione, dai processi industriali in corso, dalla crisi occupazionale dovuta anche all’automazione, dalle strategie delle città per ridurre il peso dell’auto a favore di mobilità attiva, trasporto pubblico, veicolo condivisa e mobilità elettrica.
Utile anche per mettere a fuoco le opportunità che si aprono per nuovi veicoli elettrici, per servizi innovativi di mobilità da condividere, per nuove reti ed investimenti per il trasporto collettivo, che ha molto bisogno di essere potenziato nel nostro Paese.
La parola d’ordine è stata integrare fenomeni e strategie che non discutiamo mai in modo unitario, per metterne in evidenza crisi e rischi, ma anche intravederne le opportunità e nuove soluzioni. Per non farci trovare impreparati e evitare che ambiente, salute ed occupazione siano messi come al solito come alternative, creando di volta in volta problemi ambientali, sociali ed occupazionali.
Green Deal per la mobilità
Il primo giorno un convegno di approfondimento svolto al Politecnico di Torino, ha affrontato le questioni più scottanti. Dal fronte ambientale sono state le relazioni ed i numeri presentati da Kyoto Club, Wwf Italia e Transport and Environment, a porre con evidenza la necessità ed ormai un obbligo, di ridurre le emissioni di gas serra del 33% al 2030 secondo il Piano d’azione per il clima e di rispettare le direttive sulla qualità dell’aria.
Non solo, il recente Green Deal presentato dalla nuova Commissione Europea ed approvato dal Parlamento a metà gennaio, indica chiaramente la necessità di anticipare gli obiettivi al 2030 con almeno 50% di riduzione C02 e puntare a zero emissioni entro il 2050 di gas serra. Green Deal che prevede diverse misure per la mobilità, tra cui il 75% del trasporto merci su strada convertito su ferro e per vie d’acqua, lo sviluppo della mobilità automatizzata e multimodale, la fine dei sussidi ai combustibili fossili.
Per quanto riguarda l’automobile, il Green Deal prevede la costruzione di una rete di 1 mln di stazioni di ricarica e di rifornimento con combustibili alternativi per rifornire 13 mln di veicoli a zero o basse emissioni, la revisione entro il 2021 delle norme EU sulle emissioni di CO2 di auto e furgoni, con percorso chiaro verso una mobilità a zero emissioni dal 2025 e con Ets per i trasporti.
In pratica tutto questo per l’Italia significa ridurre 100 milioni di tonnellate di CO2 dal trasporto su strada entro il 2050, cioè in poco meno di trenta anni e senza dimenticare le azioni necessarie anche nel trasporto aereo e marittimo per rispettare gli impegni di decarbonizzazione. Una sfida davvero impegnativa, che richiede una strategia pubblica efficace per una “giusta” transizione, che direzioni incentivi positivi ed elimini i sussidi ambientalmente dannosi, che investa nelle alternative come il trasporto collettivo, la mobilità elettrica, la sharing mobility, la mobilità attiva a piedi ed in bicicletta, nuovi servizi a domanda.
Servono dunque meno auto in circolazione e servono veicoli elettrici, pubblici e privati: una parola d’ordine che ha un effetto deciso su produzione ed occupazione, per nuovi veicoli che il nostro sistema industriale e la principale industria FCA non sono ancora pronti a produrre. Mentre lo sono diversi grandi gruppi industriali nel mondo, a partire dalla Cina, che ha investito anche sul sistema di produzione delle batterie.
Il futuro dell’automobile
Un esperto del calibro di Giuseppe Berta, università Bocconi e analista del sistema automotive italiano, ha ribadito che “siamo alla fine dell’industria dell’auto cosi come l’abbiamo conosciuta, che non si tratta di una semplice transizione, mentre regna una grande incertezza per la guida autonoma sia sui tempi che sulle regole”. Inoltre ha ribadito che l’investimento digitale sull’auto produrrà un sistema industriale molto diverso, dove non avremo più “la città dell’auto” come è stata Torino ma piattaforme territoriali a scala europea. Un concetto ribadito anche da Francesco Garibaldo, della Fondazione Claudio Sabattini, che ha parlato di servizi e piattaforme scalabili e della fine del modello export, dove il veicolo elettrico magari condiviso è la strada per il futuro che ci attende e della riconversione che dobbiamo perseguire.
Il confronto ha anche approfondito l’aspetto della ricerca nel settore, escludendo che metano e gas siano prospettive interessanti essendo carburanti fossili da ridurre anch’essi, il biometano avanzato sia appropriato per alcuni usi (mobilità agricola) ma con produzioni limitate. Prosegue la ricerca sull’idrogeno e le celle a combustibile, presentata dal rettore del Politecnico di Torino professor Saracco, che ha bisogno di un decennio di sperimentazioni e ricerca per superare le criticità attuali, di cui comunque bisogna indurre usi appropriati ed efficienti essendo un vettore che ha bisogno di energia per essere prodotta.
Tutti gli esperti sono stati concordi nel definire il veicolo elettrico da fonti rinnovabili, anche con l’attuale mix energetico, un pezzo fondamentale della soluzione. Ma se vogliamo che la produzione di questi veicoli resti nel nostro paese, serve un sistema di produzione delle batterie che ci svincoli dalla dipendenza da altri paesi e dalla Cina.
Su questo Veronica Aneris di T&E, ha raccontato del grande sforzo europeo per produrre una Alleanza per la produzione di 16 gigafactory in Europa per le nuove batterie, di cui almeno due dovrebbero essere istallate in Italia. Del resto à lo stesso Politecnico di Torino a far parte di questa strategia europea Battery2030+, come ha presentato la prof. Silvia Bodoardo, che segue la ricerca sui materiali, le innovazioni, la second life, perché il ciclo delle batterie sia riciclabile e sostenibile, impostando ora una strategia di lungo temine efficace, per non ritrovarsi a posteriori un enorme problema di smaltimento. Ed ha anche proposto che una megafabbrica di batterie sia localizzata in Piemonte, stante anche la vicinanza con le loro ricerche e sperimentazioni.
Buone notizie sono arrivate anche da Motus e, l’Alleanza italiana per la mobilità elettrica, che ha presentato una ricerca in collaborazione con lo Studio Ambrosetti in cui dimostra che vi è una interessante filiera legata alla mobilità elettrica di piccole e medie imprese della manifattura e servizi che sta crescendo, con 5,4 miliardi di ricavi imputabili alla e-mobility e che si sta riconvertendo in modo efficiente.
In modo analogo sono stati presentati i dati di una ricerca di Cassa depositi e prestiti del 2019, che dimostra che investire sul trasporto collettivo, reti tramviarie e metropolitane, nuovi autobus, colonnine di ricarica, con 2,8 miliardi di risorse annuali – come sta accadendo ora con gli investimenti voluti dall’ex ministro Graziano Delrio – produca 110.000 addetti aggiuntivi per ogni anno. Ecco un modo concreto per dare lavoro ed occupazione con la mobilità sostenibile, a condizione che gli investimenti siano stabili nel tempo per consentire alle città ed alle imprese di organizzarsi con la filiera produttiva.
Altro filone interessante da esplorare ha riguardato la sharing mobility e le innovazioni di servizio legate alla rivoluzione digitale. Ne hanno parlato Guido Viale, ricercatore e saggista, che oltre 20 anni fa anticipò alcune queste idee con un libro famoso da titolo provocatorio “Tutti in taxi” e Massimo Ciuffini, della Fondazione Susdef e Osservatorio nazionale sulla sharing mobility. I dati ci dicono che la mobilità condivisa è in crescita in Italia, ma si concentra su poche città e nelle aree centrali, e sta innovando anche servizi tradizionali come TPL e taxi.
Presentato anche uno studio di International Transport Forum/OCSE sulla mobilità a Lisbona, che ha dimostrato che usando viaggi in condivisione basterebbe il 3% dell’attuale parco veicolare per soddisfare la domanda, con una riduzione delle percorrenze giornaliere del 23% e la riduzione di emissioni e spazio urbano. Diverse ricerche hanno ribadito che l’auto del futuro sarà elettrica, autonoma ed in condivisione, ma che i chilometri percorsi e lo stock di veicoli necessari saranno determinati dalle politiche pubbliche e dalle strategie adottate dalle città e dai governi sulla mobilità.
Anche la sessione sulla politiche delle città ha dimostrato come gli obiettivi di riduzione dell’uso delle auto siano tra le strategie centrali dei Piani urbani di mobilità sostenibile. E’ il caso di Bologna con il Pums di area metropolitana che prevede al 2030 di passare dal 54% al 38% di uso dell’auto e di Torino, che oltre ad estendere la Ztl per tutta la giornata e servizi innovativi MaaS (mobilità come servizio). L’alternativa è la crescita del trasporto collettivo, mobilita a piedi ed in bicicletta, veicoli pubblici e privati elettrici, micromobilità e servizi innovativi in sharing. Tra le strategie per il futuro da perseguire per la mobilità sostenibile c’è quella presentata da Andrea Poggio di Legambiente, che ha sottolineato il ruolo che il welfare aziendale può sostenere attivamente, con incentivi, buono mobilità, servizi condivisi, che potrebbero rientrare nella contrattazione aziendale e che ha trovato interesse nel mondo sindacale.
Governare la transizione per la mobilità sostenibile
Puntare sul veicolo elettrico è dunque una necessità ed una reale opportunità. Anche se la produzione richiede meno lavoro, (tra il 50 ed il 70% dicono le stime incerte) e servono meno veicoli secondo le politiche delle città e l’auto condivisa da far crescere. Per questo è indispensabile puntare anche sulle alternative e le innovazioni di mobilità sostenibile per creare occupazione.
La segretaria della Fiom Cgil, Francesca Re David, è intervenuta ribadendo che “i lavoratori sono delle vittime” di questo sistema e di queste trasformazioni, che bisogna mettere insieme lavoro ed ambiente e che serve un Piano industriale per la mobilità elettrica in Italia, che ancora non c’è per governare la transizione.
Il secondo giorno si è svolta una partecipata assemblea di iscritti e delegati Fiom alla Camera del lavoro di Torino, con una tavola rotonda su ambiente, mobilità e occupazione.
Luca Mercalli, scienziato del clima e ottimo divulgatore capace di trascinare la platea, ha sottolineato l’emergenza in cui ci troviamo, che richiede azioni immediate e decise per salvare la vita sul pianeta, con azioni conseguenti ed immediate in tutti i settori incluso i trasporti e la mobilità elettrica. Giacomo Cossu, della Rete della Conoscenza, si è concentrato sul ruolo della formazione, di una ricerca indipendente, per una transizione innovativa, dove l’istruzione dei giovani deve essere potenziata con nuove risorse, da destinare anche alla ricerca. E con un obiettivo di fondo: ragionare su cosa produrre e come produrre, annunciando per il 24 aprile il nuovo sciopero globale degli studenti per il clima.
L’intervento di Michele De Palma, il padrone di casa della Segreteria nazionale Fiom, ha sottolineato come emergenza ambientale, sociale ed occupazionale siano elementi comuni della crisi, che devono essere affrontati insieme. Ha fatto un quadro della situazione occupazionale e produttiva dell’auto in Italia, con una capacità ben superiore al venduto e molte ore di cassa integrazione, dimostrando che la crisi è in atto da tempo e non si intravedono le soluzioni.
Per questo FCA deve essere chiamata responsabilmente al tavolo del confronto, anche in vista della fusione decisa con Psa, ed ha segnalato che non bastano i tavoli dell’automotive convocati dal Governo. Serve più formazione e ricerca per l’innovazione che devono essere potenziati. Per non arrivare al conflitto ambiente ed occupazione come purtroppo spesso si registra in Italia: a questo serve il Piano mobilità elettrica chiesto al governo dalla Fiom Cgil. Anzi l’automazione in atto nella produzione che investe tutti i settori, aumenta ulteriormente la disoccupazione e quindi la riduzione dell’orario di lavoro diventa una proposta concreta da riportare al tavolo del confronto con imprese e governo, ha sottolineato De Palma.
Il Presidente nazionale di Federmeccanica Alberto Dal Poz, si è scagliato fortemente contro i governi, che non ascoltano le esigenze del settore e non forniscono risposte adeguate, chiedendo sostegno alla ricerca. Ha rivendicato le buone tecnologie dell’auto convenzionale come base per l’evoluzione verso l’auto elettrica e lamentato anche una Europa “troppo restrittiva” sui limiti per le emissioni delle auto scattate il 1 gennaio 2020. Che in realtà sono note da anni, ma che spesso il mondo dell’automotive italiano ha fatto finta di non conoscere, facendosi trovare impreparato.
Come ambientalisti abbiamo sottolineato che servono politiche pubbliche che sappiano guidare la giusta transizione, un nuovo Piano dei trasporti e della logistica (fermo al 2001), un Piano energia e clima decisamente più innovativo e lungimirante rispetto a quello adottato, un superamento reale dei sussidi alle fonti fossili. Vanno messi a fuoco i numeri, servizi, tecnologie, produzione, occupazione, ricerca, investimenti e formazione dei vari segmenti della mobilità pubblica e privata in senso sostenibile. E concordiamo sulla richiesta della Fiom Cgil di un Piano nazionale per la mobilità elettrica, da sostenere congiuntamente presso il governo.
Il confronto si è concluso con una considerazione unitaria tra ambientalisti e metalmeccanici: questa è solo una prima tappa, un punto di partenza di un dialogo necessario e che deve proseguire, per trovare soluzioni comuni capaci di coniugare ambiente, occupazione e mobilità sostenibile.
4 febbraio 2020