La questione territoriale spagnola, di cui la crisi catalana è solo la punta dell'iceberg, solleva non pochi interrogativi. Uno in particolare non va eluso, se si vuole distribuire con obiettività le responsabilità e soprattutto se ci si propone di individuare una via d'uscita ad una situazione che si fa ogni giorno più complicata. La domanda è come sia stato possibile, in soli dieci anni, che oltre il 40% del popolo catalano voglia con determinazione una separazione dal resto della Spagna, per costruire uno stato indipendente e repubblicano? Tutto si può scrivere o dire su ciò che è accaduto ed accadrà in Catalogna e per converso nell'intera Spagna, meno che l'indipendentismo non abbia un radicamento diffuso e una capacità di mobilitazione notevole. Detto in numeri si tratta di oltre due milioni di persone, sugli oltre sette milioni di abitanti, di cui votano poco più di 5 milioni. Sono cifre che squadernano davanti ai nostri occhi una frattura sociale enorme, difficilmente componibile, se il confronto rimane polarizzato su decisioni unilaterali di indipendenza da un lato e repressione delle stesse dall'altro. Va detto che l'aumento del consenso ai secessionisti è un fenomeno abbastanza recente. Fino al 2006 infatti solo una piccola minoranza voleva la rottura con Madrid. Appare non del tutto esauriente attribuire la crescita del consenso dell'indipendentismo all'implodere dell'Europa, in altre parole omologare ciò che succede in Catalogna al dilagare del populismo e movimenti nazionalisti e razzisti che la crisi del progetto europeo sta facendo emergere. Certo in tutta la crisi fra Barcellona e Madrid la Ue ha brillato per la sua assenza. Ma va ricordato che in Spagna, Catalogna compresa, la crisi del progetto europeo risale al 2011 e con un segno completamente diverso da quello fascista e razzista che monta ora, in particolare sulla questione degli immigrati/e. Fu la rivolta giovanile degli indignati, che occuparono strade e piazze di tutte le città spagnole e in particolare quelle di Barcellona, ribellandosi alla gestione liberista della crisi. Assimilare Podemos, cioè l'espressione politica di quel movimento, al populismo che attualmente dilaga in molti paesi europei o al nostro movimento 5 Stelle , dimostra solo la pigrizia e il pressapochismo di tanti commentatori politici che abusano della parola populismo per pontificare, a pagamento, nei talk show televisivi. Un pochino di più fa capire il perché del forte consenso di cui gode il secessionismo catalano, scavare nella storia tragica della Spagna. Certamente una parte delle radici dell'indipendentismo catalano, affondano nella drammatica guerra civile che travolse la penisola iberica. Soprattutto lo alimenta il rifiuto di ciò che instaurarono i vincenti di quel drammatico evento, cioè la dittatura franchista con il suo opprimente stato, monarchico e centralizzatore. In Spagna da sempre si confrontano e si scontrano due idee antagoniste del Paese. Da un lato, quella delle destre e della monarchia, di una Spagna uninazionale, a cui le forze della sinistra e repubblicane, contrappongono il progetto della plurinazionalità, che pensa cioè che la Spagna sia composta da varie nazioni, con lingue e culture diverse che si associano volontariamente. Va ricordato, per chiarezza, che i sostenitori del concetto della Spagna plurinazionale non hanno mai rivendicato l'indipendenza, ma sempre e solo una ridefinizione della Spagna come insieme di nazioni. In queste settimane di feroce contrapposizione e di profonda frattura sociale, alimentate non solo dall'avventurosa forzatura delle forze indipendentiste, ma soprattutto dal governo di destra di Mariano Rajoy, che ha ricercato solo lo scontro, è forse andata in scena tutta l'ambiguità che caratterizzò la transizione dalla dittatura franchista alla democrazia. In altre parole si è riproposta una riflessione sui limiti della transizione. E' giusto dire che il patto costituzionale del 78 fu un compromesso fra due progetti opposti, ma non si può ignorare che penalizzò le forze della sinistra, comunisti e socialisti ed invece premiò alleanza popolare, in cui, alla morte di Franco, si riciclò gran parte della classe dirigente legata al vecchio regime, un raggruppamento da cui nacque poi il Partito Popolare di Rajoy. Un compromesso che evidenziava un rapporto di forza molto favorevole alle destre che, va ricordato, alla morte di Franco, controllavano completamente lo stato e la quasi totalità dei mezzi di comunicazione. Comunisti e Socialisti erano per lo più rientrati dall'esilio o peggio usciti dalle galere. E' vero che quel compromesso del 78 per la democrazia, non si sarebbe materializzato senza le mobilitazioni popolari, che sinistre e sindacati promossero. Ma, non c'è dubbio, che lo squilibrio delle forze in campo impose, a favore delle destre, molti compromessi e uno di questi fu la visione della Spagna uninazionale, da imporre al resto delle realtà territoriali, attraverso l'apparato istituzionale che univa dalla monarchia, alla chiesa per finire all'esercito. La sinistra spagnola e in particolare i socialisti dovettero subire questo compromesso, con il conseguente accantonamento del concetto di plurinazionalità della Spagna. Questo scontro fra le due visioni di Spagna è riemerso con molta forza durante il governo Zapatero. Nel 2005, infatti, il tripartito, che governava la Catalogna, presieduto dal socialista Maragall, approvò un nuovo statuto dell'autonomia, che assumeva la Catalogna come nazione. Un progetto accolto dal governo Zapatero e quindi approvato dal parlamento spagnolo, pur con qualche modifica rilevante. Sebbene questi cambiamenti, il popolo catalano a stragrande maggioranza lo approvò definitivamente con un referendum. Sicuramente se il Partito Popolare avesse accettato il voto del popolo catalano si sarebbe evitata la frattura sociale che si è prodotta ora e forse l'intera crisi catalana. Rajoy e il PP decisero di non farlo e sottoposero lo statuto alla Corte Costituzionale spagnola, da sempre vicina al PP e alle destre, che bocciò tutti gli articoli che mettevano in discussione il concetto di Spagna uninazionale. Il ritorno alla guida del paese del Partito Popolare, nel 2011, completò l'opera. Ogni canale di comunicazione con le istituzioni catalane fu interrotto e dal governo Rajoy i catalani/e ricevono solo disprezzo e repressione. Da allora la crescita dell'indipendentismo ha dilagato. Basta camminare qualche ora per le strade di Barcellona e parlare con la gente per cogliere un diffuso sentimento di umiliazione a cui si sentono sottoposti dallo stato centralizzatore. Affossare lo statuto ha avuto come conseguenza di trasformare un consenso diffuso ad una Spagna plurale, ma unita, in un desiderio di separazione. Certo di questa frustrante sordità hanno approfittato le forze che, in questi anni, hanno poi alimentato l'avventura secessionista, culminata nella dichiarazione unilaterale d'indipendenza. Sulla scelta secessionista sono confluite forze diverse, se non antagoniste. Quelle di destra, di cui Pugdemont è espressione, che hanno usato l'indipendentismo, per coprire il dramma sociale da loro creato con l'applicazione della ricetta liberista alla catalogna e quelle di sinistra o semplicemente repubblicane che hanno pensato alla catalogna come un anello debole da far saltare attraverso l'indipendenza, la cui dichiarazione unilaterale poteva provocare la crisi nell'intera Spagna, e avviare un processo anticapitalista. In realtà i fatti per ora dicono il contrario e cioè che l’avventura secessionista è stata ed è solo un grande regalo a Mariano Rajoy e alle destre. Perché non solo ha potuto liquidare con la repressione le forze secessioniste, mandando al massacro la parte del popolo catalano che le ha seguite, ma soprattutto ha consentito alle destre, di cui Ciudadanos è la punta di diamante, di farlo con la copertura dei socialisti spagnoli, riconducendoli così nell’alveo delle larghe intese e allontanandoli dall’alleanza con Unidos Podemos, unica possibilità per dare forza e credibilità a una alternativa di sinistra, sicuramente la sola prospettiva in grado di far uscire la Spagna dalla crisi territoriale, ma anche da quella economica sociale ed ambientale.
Questa possibilità è stata sprecata dalle scelte del Psoe e quindi la partita ora si gioca sul terreno più favorevole alle destre e al governo Rajoy: una forte polarizzazione fra la difesa della dichiarazione unilaterale di indipendenza a cui si contrappone l'uso dell’articolo 155, in poche parole l'annullamento dell'autonomia e delle istituzioni catalane. E' questo il contesto in cui sono chiamati a decidere i catalani/e il 21 Dicembre, in elezioni imposte da Rajoy e con una campagna elettorale senza esclusioni di colpi. E' del tutto evidente la volontà del governo spagnolo, ma in larga misura anche di quello catalano, destituito e incarcerato o fuggitivo, di convincere le/gli aventi diritto al voto che la scelta è solo fra i sostenitori della dichiarazione unilaterale di indipendenza o le forze che hanno deciso di reprimerla brutalmente, con l’articolo 155 e il rilancio del nazionalismo spagnolo. E' prevedibile una campagna per il “voto utile” per dimostrare all'elettorato che è un voto buttato via scegliere chi propone, un referendum concordato, capace di spingere tutta la Spagna verso un processo costituente da cui possa nascere finalmente una Spagna plurinazionale e repubblicana. In poche parole i voti dati alle forze che si raccolgono attorno a Podemos e alla sindaca di Barcellona Ada Colau sarebbero voti dispersi.
Rompere la polarizzazione in cui è incardinata la crisi catalana non sarà per nulla facile. E' rafforzata dalla scelta del PSOE di votare con le destre l'articolo 155, tradendo il mandato con cui il segretario Sanchez fu rieletto segretario che indicava fra le discriminanti la plurinazionalità della Spagna
Di fronte al contesto polarizzato resta dunque solo Podemos e le sue confluenze, che prova a rispondere con la sua radicalità democratica. In altre parole restano solo le forze che hanno rotto il bipartitismo, dando rappresentanza politica alla rivolta degli indignati. Per Podemos l'unica strada politica, per uscire da questo stallo soffocante, è la proposta di un referendum concordato e la contemporanea riforma della costituzione. Sottoporranno queste proposte al giudizio delle elettrici ed elettori confermando la confluenza con il movimento della sindaca Ada Colau, nella lista CatComu-Podem. Il tentativo è offrire una terza via al popolo catalano, quella di votare per un paese che non lasci indietro nessuno, riportando al centro dello scontro elettorale la questione sociale finora rimasta oscurata. La Catalogna oggi ha un terzo della popolazione che vive a rischio povertà ed esclusione, come segnala l'aumento considerevole di suicidi e di uso di antidepressivi. Precarietà, disoccupazione, tagli alla spesa per educazione, sanità e servizi sociali. Nel vortice mediatico concentrato sulla questione catalana è sparito il dato che la maggioranza, in Spagna, vive peggio di 10 anni fa e ha più insicurezza sul futuro. Una insicurezza alimentata anche dalla crisi climatica e ambientale che tra tifoni e ondate di calore terrificanti che questa estate hanno favorito incendi e siccità, ha pregiudicato l’agricoltura e la sua economia.
Riportare nelle elezioni in Catalogna le priorità sociali e ambientali può dare consistenza e rappresentanza a quei segmenti della società che hanno perso collocazione politica, andare un poco più in là della scelta tra una Catalogna repubblicana e una Spagna monolitica, per scardinare l'egemonia e la corruzione delle destre, per definire una costituzione che dia priorità anche alle politiche sociali e al diritto a decidere e non al finanziamento delle banche.