Venerdì 18 ottobre ci sarà a Roma uno sciopero nazionale indetto dalla Fiom per tutti i lavoratori metalmeccanici. Perché oggi? Come si arriva a questa decisione?
È un percorso, almeno per quanto riguarda la Fiom, che è cominciato in questi anni. Il 2 giugno del 2023 siamo stati a Parigi a Poissy, quartier generale di Stellantis, il giorno della festa della Repubblica perché volevamo consegnare la nostra Carta Costituzionale fondata sul lavoro all'amministratore delegato Carlos Tavares. Ribadiamo fondata sul lavoro perché in Italia Stellantis invece si fonda sugli ammortizzatori sociali, sulla cassa integrazione, sugli incentivi alle uscite per i lavoratori che oggi sono ancora dipendenti dell'azienda. In piazza a Torino insieme a Fim e Uilm avevamo detto ai lavoratori che se non ci fosse stata l'apertura di un confronto a Palazzo Chigi con l'amministratore delegato dell’azienda che garantisse un piano industriale e l'occupazione ai plant nel nostro Paese, noi avremmo continuato le nostre iniziative di lotta. È passato del tempo e i tavoli che ci sono stati al Ministero sono stati inconcludenti. Da allora la situazione sul piano internazionale, per quanto riguarda l’automotive, si è ulteriormente aggravata, in particolare nel contesto europeo. La cassa integrazione nel gruppo Stellantis è aumentata, sono stati chiusi luoghi come lo stabilimento di Grugliasco, il Giovanni Agnelli plant, e l'Innovation Lab di Modena, mentre continua a essere rinviata la decisione dell’azienda su un piano di transizione per Termoli con la gigafactory. L’azienda continua a produrre fuori dall’Italia nuovi modelli di automobili utilizzando gli storici marchi italiani. In ultimo, l’amministratore delegato riceve uno stipendio equivalente a quello di mille operai, e continuano a mancare accordi sul futuro, a mancare i confronti, le garanzie. Per queste ragioni abbiamo preso una decisione storica: uno sciopero nazionale con manifestazione a Roma di tutti gli operai metalmeccanici. Non accadeva da decenni.
E questo rientra in un periodo in cui la Cgil sta promuovendo l’iniziativa referendum contro il Jobs Act, la mobilitazione contro l'Autonomia Differenziata, adesso ci sarà la lotta contro il Ddl Sicurezza. È un periodo di forte repressione contro i diritti dei lavoratori ma anche di lotta. Chi ne esce vincitore?
I movimenti sindacali e i movimenti dei lavoratori devono avere una consapevolezza forte e chiara: nel corso degli anni il capitale non ha vinto, ha stravinto. Il punto è che questa vittoria ha determinato la rottura di qualsiasi regola, di qualsiasi contenimento della logica mercantile, egoista ed individualista.
Questo sta mettendo in serio pericolo il pianeta sul quale viviamo e l'umanità stessa. Credo che il punto fondamentale oggi sia riprendersi il potere, riequilibrare il potere a danno di certi amministratori delegati di grandi multinazionali con potere economico e finanziario smisurato, in molti casi addirittura superiore a quello di presidenti legittimamente eletti da Paesi democratici. Quindi dal nostro punto di vista il punto è ridare il potere di decisione alle persone e al lavoro.
Fare questo con quali gli strumenti?
Scioperi, manifestazioni, contrattazione, referendum, non essendo noi in Parlamento e non facendo noi le leggi, è per esempio uno strumento, il nostro strumento abrogativo del Jobs Act.
Riprendere potere significa fare delle proposte di leggi popolari, fare i contratti nazionali, incrociare le braccia, fare sciopero, manifestare. La storia della Fiom è una storia di lotta. È la storia di un sindacato che lotta nei luoghi di lavoro, ma che lo fa anche per cambiare la società dentro la quale vive. È per questo che noi pensiamo che non possono essere disgiunti il tema del lavoro e della salute.
Il diritto per la casa, il diritto a una formazione scolastica. Ormai siamo a un'involuzione su tutti i diritti e i parametri di benessere. Dobbiamo riprenderci il potere negoziale, sia nei confronti delle istituzioni che nei confronti delle imprese.
Per questo utilizziamo gli strumenti democratici che abbiamo a disposizione.
Molti degli aspetti, delle libertà e dei diritti che ha menzionato sono sotto attacco a causa del Ddl Sicurezza. Questo decreto vuole infatti silenziare attraverso la repressione di chi ha un’altra idea di lavoro, di diritto alla casa, di società. Ne risulterà un inasprimento del conflitto?
Con il conflitto in Italia abbiamo salvato una parte del nostro sistema industriale. Penso alla vertenza che ha riguardato Ansaldo Energia a Genova, penso all’ex Ilva, penso agli stabilimenti Stellantis, penso agli ex stabilimenti ex Irisbus ed ex BredaMenarini, penso a Termini Imerese. La nostra è una storia di difesa dell'interesse generale del Paese, con scioperi, manifestazioni, presidi, picchetti. Una democrazia che riduce gli spazi della legittima dialettica democratica è una democrazia in crisi. Debole.
Penso che il problema principale della destra che governa in questo momento il Paese stia nel non avere la forza e l'autorevolezza del consenso, e quindi riduce gli spazi di dialettica e di confronto democratico.
Il Ddl Sicurezza interviene su questioni vitali ed esistenziali come i picchetti davanti agli stabilimenti produttivi. Quando ti annunciano che ti chiudono la fabbrica, esci dalla fabbrica e fai un corteo. Non c'è il tempo di autorizzare un corteo nel momento in cui ti viene annunciato che perderai il lavoro.
Come metalmeccanici siamo in una fase di rinnovo del contratto nazionale, dei contratti nazionali che riguarderanno due milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori.
Io non so che cosa accadrà nei tavoli negoziali. Ma di certo il governo sta scegliendo da che parte stare.
E da che parte sta?
Non sta dalla parte di chi nel nostro Paese sta difendendo l'industria e il lavoro, se ne limita le libertà democratiche.
In quale misura direbbe che questo decreto va contro i lavoratori, contro il diritto a scioperare a esempio? Il Ddl potrà ostacolare i lavoratori che fanno picchetti o che occupano una strada?
Lei fa riferimento al Ddl Sicurezza che tratta non più come un elemento amministrativo ma come un elemento penale il tentativo dei lavoratori di impedire la chiusura di uno stabilimento. Se la Costituzione nel suo primo articolo dice che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro, è in nome di questa Costituzione che occupo una strada e che faccio un picchetto. Piantedosi deve rispondere a questa domanda: viene prima il diritto dell’impresa a licenziare, a chiudere o a pagare due euro il lavoratore? Viene prima il diritto dell’impresa a non garantire la sicurezza dei lavoratori?
Più le grandi aziende delocalizzano la produzione, più cresce il disagio socio-economico, maggiore diventa il bisogno di sicurezza da parte dei padroni. Possiamo quindi dire che questo Ddl è a favore dei ricchi e dei proprietari?
Non penso che valga solo per questo Ddl. Penso che la struttura culturale di questo governo sia neocorporativa e neoaziendalista. L'ho ascoltata con molta attenzione Giorgia Meloni quando è venuta al congresso della Cgil. Ha detto delle cose molto chiare: l'interesse superiore a tutti gli altri interessi è quello della Nazione. Quello della Nazione coincide con quello che decide di fatto il governo, che a sua volta coincide con quello di altri poteri. Chi ne paga le conseguenze?
Le lavoratrici e i lavoratori, che sono quelli che invece la nostra Costituzione riconosce come fondamento della nostra Repubblica.
Quindi il Ddl Sicurezza è soltanto una manifestazione della natura del governo. Vorrei ricordare che quando si è insediato uno dei primi provvedimenti è stato quello sui rave. Guardi i provvedimenti in materia fiscale: in campagna elettorale dicevano che avrebbero ridotto le tasse ai lavoratori salariati e ai pensionati e di fatto, siccome le hanno diminuite agli altri, a noi è come se le avessero aumentate. Sono intervenuti sul reddito di cittadinanza, non vogliono il salario minimo, non intervengono per sostenere la riduzione dell'orario di lavoro. Sono tutte scelte contro i lavoratori.
Secondo lei la manifestazione del 25 settembre indetta dalla Cgil davanti al senato contro il Ddl Sicurezza è arrivata troppo tardi? L’opposizione, sociale e politica, a questo provvedimento arriva tardi in generale?
Penso che in questo momento il problema non stia nei singoli provvedimenti. Oggi il problema è di carattere generale. Credo che le forze democratiche e sociali in Italia, sto parlando dell'associazionismo, dei movimenti, dei sindacati, debbano costruire una forza collettiva che sia in grado di proporre un modello di società, a differenza di ciò che fa la rappresentanza politica che si divide sempre di più. Abbiamo bisogno di unire, di ricomporre. Prima ho detto che ha vinto il capitale contro il lavoro: i primi a pagarne le conseguenze sono state le rappresentanze politiche del movimento operaio.
L’inasprimento delle pene per chi protesta contro le opere pubbliche può essere esteso ai lavoratori in sciopero?
Non bisogna neanche andare su quel capitolo. La forza repressiva che questo decreto eserciterà contro i lavoratori è esplicito nell’articolo sulle manifestazioni per esempio nelle stazioni, o nelle strade. Come dicevo prima il decreto criminalizza i picchetti, le manifestazioni non autorizzate: annichilisce una parte del spazio democratico che i lavoratori hanno a disposizione.
Questo decreto chiaramente tenderà a sovraffollare ulteriormente le carceri. Che ripercussioni avrà sulla tenuta del sistema penitenziario? Questo cosa ci dice del governo Meloni?
Io sono stato in carcere qualche tempo per un'iniziativa organizzata da Patrizio Gonnella che rievocava la storia di Giulio Turchi, un operaio metallurgico fiorentino trasferitosi a Roma dove fu arrestato nel 1927. La sola sensazione di privazione che il carcere genera è terrificante. Tanti ne parlano senza avere nessuna consapevolezza di che cosa voglia dire essere in carcere.
È una pena aggiuntiva stare nelle carceri dentro le quali oggi in Italia sono costrette a stare le persone. La pena aggiuntiva è determinata dal sovraffollamento, dalla mancanza di accesso ai diritti fondamentali che pur essendo in carcere le persone devono avere. Inondare le carceri, tra l'altro, è una logica che mi colpisce perché si depenalizzano i reati dei colletti bianchi e si criminalizza chi invece incorre nell’illegalità per ragioni magari di carattere sociale e di bisogno. Dovremmo lavorare per una società che riduca le possibilità di sbagliare per le persone, non che aumenta il numero delle carceri. Si dovrebbe parlare di come aumentare le scuole per non abbandonare i giovani alla criminalità e l’occupazione per garantire il reddito necessario a poter realizzare la propria esistenza. Di come ricostruire un sistema sociale di protezione. Questo favorirebbe una condizione di maggiore sicurezza.
Intervista al segretario generale della Fiom-Cgil Michele De Palma, pubblicata su Micromega a firma di Mosè Vernetti