Con il rischio di tutte le caricature e le approssimazioni che si rischiano nel fare delle considerazioni a caldo sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea c’è tuttavia la necessità di provare a fissare alcuni elementi che possono esserci utili alla riflessione.
Il primo elemento che sovrasta la notizia di oggi è la sorpresa che tale evento ha generato, sorpresa per le borse, sorpresa per le istituzioni, sorpresa per il sindacato inglese, per i governi europei, per chi si dovrebbe occupare di exit-poll. La sorpresa come elemento disvelatore della grande inadeguatezza della classe dirigente europea che al di là della rappresentanza ha una crisi di lettura dei processi reali catastrofica. Il referendum forse non dovrebbe sorprenderci così come non avrebbero dovuto farlo le elezioni italiane, di cui sono rappresentative immagini di ex sindaci basiti di fronte alla non attesa sconfitta ai ballottaggi. Non dovremmo sorprenderci che in tutta Europa si faccia forte un voto che prima che essere un voto di destra e nazionalista (certo questa componente esiste siamo ben lontani dal negarla e da negare i rischi che comporta questo swing) è un voto anti-sistema. Salta agli occhi per esempio che il Galles e con lui molti altri territori ex distretti industriali inglesi che sono stati devastati dalla crisi abbiano votato con decisione per l’uscita, anche in quelle città in cui il Labour aveva le proprie roccaforti.
Sintomo che forse aver demonizzato l’uscita dall’Unione come un dramma per i mercati finanziari non ha esattamente dato alle persone il polso del fatto che dietro a questo voto si discuteva sulla loro pelle e sulle loro condizioni di lavoro. La parte più ricca del Regno Unito vota per rimanere e tutti gli altri votano contro Bruxelles. E Bruxelles come reagisce? Imbarazzanti i primi commenti dei leaders europei che vanno dalla minimizzazione al “di fatto andiamo avanti senza di loro” al “loro non erano mai stati davvero in Europa fino adesso”. Ma se è vero che oltremanica le regole dell’unione sono sempre state annacquate da clausole di opt-out deve far riflettere ancora di più il fatto che un paese su cui l’Europa pesa relativamente sente la necessità di chiamarsi fuori dai giochi. Il rischio adesso, come dicono tutti, è quello di un effetto domino. Se possibile è anche peggio, con la crisi della socialdemocrazia che ci ha consegnato questo capolavoro politico diffuso il vero rischio è che sia sul serio la destra xenofoba e nazionalista ad intestarsi una vittoria che non è loro ma che è invece un grido di trasformazione che deve essere interpretato e raccolto.
L’Europa come la conoscevamo è morta: viva l’Europa.
Spetta a noi, anche al sindacato, soprattutto al sindacato, avere il coraggio di dire che una classe dirigente politica a livello europeo ha fallito, a noi sapere indicare un’alternativa costituente, a noi anche la responsabilità di indicare un percorso, un orizzonte che non sia quello dell’individualismo di protesta ma del riscatto collettivo. Stamani provocatoriamente ci chiedevamo cosa ne sarà, per fare un piccolo esempio, della nostra capacità di tenere nei comitati aziendali europei la rappresentanza dei colleghi inglesi, cosa ne sarà dei diritti del lavoro, del diritto di sciopero già pesantemente sotto attacco sui quali le direttive europee avevano seppur minimo un effetto?
Dice il proverbio: “nebbia sulla manica il continente è isolato”. Questo è il rischio per noi tutti: che la nebbia ci impedisca di cogliere la richiesta di trasformazione, rappresentanza ed evoluzione della condizione delle cittadine e dei cittadini europei. Questa trasformazione non può e non deve essere lasciata nelle mani di chi fino ad oggi ha implementato politiche suicide lontani dalle necessità delle persone e sicuramente non possiamo permetterci di lasciare spazio ai peggiori populismi e nazionalismi, d’altronde: la guerra al ribasso tra chi in Europa ha diritto a cosa e della contrapposizione tra lavoratori di ogni paese sappiamo già che il Capitale ha beneficiato e continuerà a beneficiare. A noi rivendicare un’Europa che non si fermi alla moneta unica ma che parli ai diritti delle persone e indicare come. A noi organizzare e agire il conflitto verso l’alto e non di lato.