Intervista di Michele De Palma su la Repubblica di Palermo a firma di Gioacchino Amato
«In Sicilia l’industria è scomparsa, il calcio d’inizio è stata la chiusura della Fiat di Termini Imerese, poi è iniziata una vera e propria desertificazione. Sono rimaste solo due grandi aziende: Fincantieri a Palermo ed STMicroelectronics a Catania a crescere in termini di occupati. In Sicilia il problema non sono i lavoratori, sono le politiche industriali inesistenti». Il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, intervenuto a Palermo all’assemblea dei metalmeccanici siciliani nella sede della Cgil attacca i governi nazionale e regionale.
Come potrebbe rinascere l’industria in Sicilia?
«Siamo in piena transizione energetica, perché non si decide di produrre nell’Isola le pale eoliche? Invece delle grandi opere “immaginarie” qui c’è bisogno di una grande opera che è il potenziamento dell’intero sistema di mobilità, delle ferrovie, di nuove navi e traghetti, per potenziare il trasporto passeggeri e merci. C’è bisogno di un piano industriale straordinario che valorizzi le realtà già esistenti e assicuri alla regione un futuro di sviluppo».
C’è stata una voglia di fare a meno dell’industria considerata troppo “sporca”?
«Questa è stata una patologia non solo siciliana. Si è passati dal costruire fabbriche senza fare i conti con l’equilibrio ambientale e dei territori al pensare che per il bene dei cittadini la soluzione migliore fosse la cancellazione delle fabbriche. L’industria di adesso non è capannoni e fumo nero. La metalmeccanica ad esempio è informatica, semiconduttori, processori, aerei, navi, attrezzature biomedicali e sanitarie. Il punto è avere un’idea di sviluppo industriale cosa che la politica non ha. Perché gli investimenti nell’industria non hanno un ritorno immediato e quindi non pagano in termini di consenso».
Abbiamo il turismo. Non basta?
«Io sono pugliese, il primo lavoro che ho fatto è stato quello di cameriere. Naturalmente in nero e senza garanzie, come tanti fanno oggi. Non c’è paragone fra lo sviluppo industriale e le ondate di turismo non governate. Nel Mezzogiorno corriamo il rischio di consumare territorio, consumare lavoro senza produrre valore. Firenze è una città turistica ma la maggior parte del prodotto interno lordo viene dalla manifattura, “Nuovo Pignone” in testa. Se ci riesce Firenze a coniugare industria e turismo può farlo il Sud».
Come vede il futuro di Termini Imerese e del polo petrolchimico di Siracusa?
«Termini ha subìto un torto, in questi anni abbiamo difeso i lavoratori anche da molti avventurieri e adesso anche grazie al lavoro straordinario dei commissari e delle istituzioni si apre una nuova partita da giocare all’attacco. È il momento di sapere quali investimenti sono previsti al di là di quelli del gruppo che ha acquisito il sito e su questo è aperto il confronto con Regione e Governo.
Per il polo petrolchimico bisogna accelerare la transizione energetica, tenendo, però, conto che si può attuare solo insieme ai lavoratori e ai cittadini delle zone interessate oppure si determinano delle fratture che determinano un disastro sociale».
Seve una nuova politica industriale e green ma con l’autonomia differenziata, rischiamo di averne 20 diverse.
«Con l’autonomia differenziata non solo lo sviluppo si ferma. Lei se lo immagina il presidente della Regione Sicilia o del Piemonte che si confronta con l’industria cinese o statunitense su energia, industria, infrastrutture? Tra l’altro siamo già in autonomia differenziata, c’è già un grosso divario nel diritto alla salute e alla formazione fra Nord e Sud. Se passa la possibilità di differenziare i salari, di cancellari i contratti nazionali, sarà un danno per il Mezzogiorno e per tutto il Paese».