«La lezione dell’economia, dopo la crisi pandemica, è stata chiara: bisogna programmare e accompagnare il sistema produttivo sulla via dell’innovazione. Purtroppo c’è una classe dirigente che, da anni, non parte da un dato di fatto. Senza l’industria manifatturiera non c’è futuro. Va governato il processo del cambiamento altrimenti, per parlare della realtà pugliese, siamo nelle condizioni di sofferenza dell’Ilva o dell’automotive».
Michele De Palma, segretario generale Fiom Cgil, è costantemente a contatto con chi è nelle fabbriche. Lavoratori che sempre più sono travolti dal vento del cambiamento senza poter veleggiare verso nuovi approdi. Il leader nazionale ha partecipato all’attivo dei quadri delle delegate e dei delegati della Fiom regionale, in occasione della discussione sulla piattaforma per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici 2024-2027, sul tema «Vertenze e realtà dell’industria metalmeccanica della Puglia».
All’incontro, presso l’Istituto tecnico economico Lenoci, anche Giuseppe Romano, segretario generale Fiom Cgil Puglia, e Gigia Bucci, segretaria generale Cgil Puglia. Nel pomeriggio l'azienda scelta per l'assemblea sindacale sulla piattaforma del CCNL è stata Fincons, azienda del settore informatico dove si sta facendo un importante lavoro di sindacalizzazione, anche grazie alle buone relazioni instaurate con l'azienda, è stata presentata per la prima volta la piattaforma per il contratto integrativo.
De Palma, dall’Ilva all’automotive. Tante vertenze e numerosi pericoli per la tenuta dell’occupazione. Succede anche in Puglia: qual è la situazione?
«La vicenda Ilva, come facilmente immaginabile, è la vertenza delle vertenze. Lunedì è stato convocato un tavolo alla presidenza del consiglio dei ministri. In quella sede diremo che è necessario mettere a disposizione ulteriori risorse per poter garantire il consolidamento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori e sicurezza degli impianti oltre al rilancio della produzione».
I commissari si sono insediati. Cosa c’è da fare?
«È giunto il momento di passare dalla programmazione alla realizzazione. Va garantito il rientro di tutti i lavoratori. Non può succedere che dopo gli errori fatti dal management (in un’azienda salvata dai lavoratori e dal sindacato) ci ritroviamo ad ascoltare ipotesi di soluzioni come piccola Ilva o riduzione dell’occupazione».
Ci vorrà un salto di tecnologia?
«Il rilancio va fatto dentro una concezione nuova: abbiamo bisogno davvero di fare la transizione industriale verso produzioni che sono ecologicamente compatibili perché non scambiamo la salute e la sicurezza delle persone con il diritto al lavoro».
La parola industria sembra che faccia paura.
«Penso che il problema sia ancora più importante. Nel senso che investire nell’industria significa fare iniziative a medio-lungo periodo. Ovvero: costruisco la società del futuro pensando a tutto quello che serve. Chi rende possibile la mobilità con autobus, treni e aerei? L’industria. Chi programma i servizi come la cybersecurity? L’industria. Ma c’è una classe dirigente che pensa di ottenere subito il risultato, quindi è incapace di investire sul futuro. E poi mi lasci dire una cosa».
Dica pure.
«Il lavoro metalmeccanico porta con se diritti perché il contratto ha elementi di controllo democratico. Nel rinnovo del CCNL chiediamo di aumentare il salario, di avviare la sperimentazione della riduzione dell'orario e di stabilizzare i rapporti di lavoro».
Sull’automotive, poi, viviamo un paradosso: anche quando le aziende sono pronte alla transizione (vedi il caso dello stabilimento Magneti Marelli di Bari) la domanda di vetture green non decolla. Quindi ci si aggrappa agli ammortizzatori sociali.
«Alla Magneti Marelli hanno già sviluppato le nuove competenze. Il problema è che Stellantis dovrebbe assicurare all’azienda le commesse per poter produrre l’auto elettrica in Italia. Il punto è che, in questo momento, Stellantis non sta garantendo al nostro Paese le produzioni che avrebbe dovuto, quindi abbiamo le aziende di settore che collocano i dipendenti in cassa integrazione».
Anche in Bosch le “stranezze” non mancano: una parte sarebbe pronta al cambiamento, mentre la restante parte produce componenti per motori endotermici diretti negli Usa e in India.
«Siamo in una fase di transizione quindi è chiaro che le due produzioni continuano a coesistere, ma ci preoccupa il drastico calo sulle produzioni delle e-bike, che a detta dell'azienda sarebbe stato uno dei pilastri sul quale fondare la riconversione e il rilancio del sito barese. Ci vuole tempo per innovare, ma ciò va realizzato subito è un sistema che accompagni questo processo ed eviti problemi per i lavoratori che da anni utilizzano ammortizzatori sociali».