Michele De Palma, segretario generale della Fiom, cosa dicono i numeri delle adesioni allo sciopero dei metalmeccanici nel Sud, con numeri rilevanti anche in Puglia e Basilicata?
“I dati che ci arrivano su primo e secondo turno confermano la piena riuscita dello sciopero, con partecipazione al di là delle aspettative. Nelle aree industriali del Sud, nei settori della produzione, le aziende si sono fermate”.
Che clima si registra tra gli operai?
“Una condizione di incertezza che allarma i lavoratori e lo sciopero certifica che adesso è il tempo delle risposte, di agire concretamente”.
Che rischi si corrono?
“Ci sono aziende non ancora incluse nel processo di transizione che rischiano la chiusura o la dismissione: si va dalle acciaierie all’automotive che fa componentistica nelle regioni meridionali”.
E’ ormai non più rinviabile la definizione di una politica industriale di ampio respiro. A che punto è l’interlocuzione con il governo Meloni e con il ministro Urso?
“Abbiamo una proliferazione di tavoli a cui non corrispondono trattative e accordi conseguenti. Ad oggi il problema nasce dai troppi tavoli e dalle poche soluzioni costruite. Il punto è la concretezza che si misura dagli sviluppi reali: allo stato non abbiamo né intese di settore né sulle crisi. Oltre al dialogo, le forze sociali chiedono di passare allo step successivo con risorse e strumenti”.
A cosa si riferisce?
“Ci sono i fondi Ue per il Sud e quelli del Pnrr: la somma di queste risorse non ci dà ancora certezza che nelle regioni meridionali si valorizzi il lavoro. Per esempio il settore delle telecomunicazioni, che si fonda su installazioni e digitalizzazione, non decolla per la logica del massimo ribasso e del subappalto”.
La questione Ilva a che punto è rispetto alla necessaria modernizzazione dell’impianto e all’uso di risorse del Pnrr?
“E’ tutto fermo. Ci era stato comunicato che avremmo avuto entro giugno un incontro per sciogliere l’enigma della proprietà dell’ex Ilva ma siamo sempre al punto zero. Non c'è stata la risalita del capitale pubblico e non ci sono investimenti nell’ammodernamento degli impianti. Dov’è il piano ipotizzato per i forni elettrici? E tutto questo si somma ai tanti lavoratori messi in cassa integrazione”.
La Fiat di Melfi dopo l’incontro con Tavares: quali i segnali di rilancio per la produzione italiana?
“Siamo andati a Parigi-Poissy con i delegati di tutte le fabbriche per chiedere chiarezza. Urso ha consegnato la costituzione a Tavares. Il punto è che la Costituzione dal punto di vista nostro va applicata a Roma e a Parigi. Il piano occupazionale degli stabilimenti va realizzato tramite una trattativa che porti ad un accordo. Chiediamo un tavolo per garantire l’occupazione e lo sviluppo negli stabilimenti del Sud, di Pomigliano, Cassino e Melfi. Poi è determinante conoscere gli effetti sulle aziende della componentistica che vivono con troppe incertezze. E’ importante l’incontro Tavares-Urso ma auspichiamo al più presto un incontro tra Governo, azienda e sindacati. Se l’Italia vuole metterci delle risorse, ci vogliono paletti netti: salvaguardia dell’occupazione, ricerca e sviluppo e miglioramento delle condizioni di lavoro nelle fabbriche”.
Nella sfida delle politiche industriali…
“Ci vuole una responsabilità di tutti. Noi chiediamo alla maggioranza di governo, ma anche alle opposizioni di riaffermare la centralità del lavoro metalmeccanico. E’ una priorità del paese avere un nuovo piano industriale ed energetico”.
La transizione green sarà uno scoglio da superare per i metalmeccanici scommettendo sulla riconversione.
“Non ci sono solo nubi. La STMicroelectronics di Catania aumenterà gli investimenti e gli occupati nel settore dei semiconduttori. La stessa previsione non si può però fare a Termoli per le batterie, alla Marelli per i motori elettrici o per le altre componenti alla Bosch di Bari. Eppure abbiamo le competenze per riconvertire le fabbriche, ma non è stato chiarito se si produrranno gli elementi delle auto elettriche in Italia o altrove”.
Cosa chiede allora il sindacato e la Fiom?
“Che non si diano risorse di stato a chi delocalizza o produce altrove. Vanno sostenute senza indugi solo le imprese che puntano su sviluppo, investimenti, ricerca, occupazione e produzione in Italia. Senza risposte, la mobilitazione continuerà”.
Un nuovo piano industriale, è la vera priorità per l’Italia
- di Michele De Feudis [La Gazzetta del Mezzogiorno]
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