Lunedì, 30 Dicembre 2024

ZOOM. Articoli e commenti

I tartari del deserto

Acciaierie d'Italia ha chiuso il 2022 con 3 milioni di tonnellate di acciaio prodotte a Taranto con un impatto pesantissimo anche per quanto riguarda le forniture degli stabilimenti di Genova, Novi Ligure, e per l'insieme delle attività del Gruppo, con un ricorso massiccio alla cassa integrazione.

La situazione impiantistica e l'assetto produttivo destano grande preoccupazione anche sotto il profilo della salute e sicurezza dei lavoratori, essendo stata drasticamente ridotta, quando non azzerata, l'attività di manutenzione ordinaria e straordinaria e sottoposto gli altoforni agli stress di un assetto di marcia orientato al contenimento dei costi energetici.

In questo quadro è maturata la decisione del Governo di intervenire con un decreto legge per l'ennesima iniezione di liquidità, nella prospettiva di una ricapitalizzazione, e con norme a salvaguardia degli impianti di interesse strategico nazionale che contemplano, tra l'altro, la possibilità per il socio pubblico, che detenga almeno il 30% delle quote societarie, di richiedere l'ammissione immediata alle procedure di amministrazione straordinaria.

In altre parole di acquisire immediatamente il controllo pubblico di asset industriali considerati di interesse strategico nazionale o quando si verifichi un contrasto tra quest'ultimo e la gestione della società partecipata.

Per la Fiom i destini di Acciaierie d'Italia, della risalita produttiva, del rientro dei lavoratori dalla cassa integrazione, della transizione tecnologica e della relativa sostenibilità ambientale delle produzioni, sono inscindibilmente legati all'acquisizione immediata, anche temporanea, del controllo pubblico del Gruppo.

Non si capisce per quale ragione rinviare tale decisione al 2024 anche in presenza di un più che ragionevole dubbio sul possibile contrasto di interesse tra le strategie di Arcelor Mittal e la partecipazione in Acciaierie d'Italia.

La multinazionale ha deconsolidato la società italiana dai bilanci del 2021 ed è tornata ad essere diretta concorrente sul mercato di Acciaierie d'Italia, acquisendo nel 2022 quote crescenti del mercato italiano, riservando investimenti in innovazione tecnologica, produzione energetica e decarbonizzazione delle produzioni negli stabilimenti esteri di cui è proprietaria.

Sempre dal 2021 Acciaierie d'Italia non si rifornisce più da Sanac, un'azienda controllata dal MIMIT, attualmente in amministrazione straordinaria, che produce materiali refrattari strategici per i processi di produzione di acciaio ed indispensabili per il rifacimento dell'Altoforno 5: il più grande d'Europa e asset strategico imprescindibile per la transizione impiantistica del sito di Taranto in una prospettiva di produzione di acciaio anche con forni elettrici e DRI (preridotto).

Siamo così al paradosso di un gruppo partecipato al 38% da Invitalia (Acciaierie d'Italia) che taglia le forniture da un'altra azienda gestita in amministrazione straordinaria dallo Stato (Sanac), acquisendo materiali refrattari da terzi peraltro con condizioni di acquisto sfavorevoli.

È troppo chiedere al governo perchè non vincolare gli interventi di finanziamento/ricapitalizzazione di Acciaierie d'Italia ad un accordo preventivo sulle forniture da Sanac o all'azzeramento dei crediti che la stessa vanta?

È troppo chiedere al Governo perchè non vincolare l'utilizzo di risorse pubbliche ad un accordo preventivo con le parti sociali sul piano industriale, occupazionale e ambientale del gruppo?

È troppo chiedere al Governo che fine fanno i 10.700 lavoratori diretti, 1.700 lavoratori dell'ex Ilva
in amministrazione straordinaria e qualche migliaio di lavoratori dell'indotto?

Sembra di sì se tutto torna a ruotare magicamente attorno all'evocazione dell'Accordo di Programma ed ai progetti sulla rigassificazione, sul riciclo delle scorie di produzione (loppa) per i cementifici, sulle energie rinnovabili e sulla dissalazione delle acque, nonchè sull'insistenza con cui le Istituzioni regionali e locali, in particolare quelle liguri, tornano a premere per l'utilizzo delle aree industriali oggi occupate da Acciaierie d'Italia.

Nel settore siderurgico gli Accordi di Programma sono serviti soltanto per chiudere le aree a caldo degli impianti prima a Genova e poi a Trieste.

Siamo così al paradosso di un Governo che decreta la salvaguardia di impianti di interesse strategico nazionale, e contemporaneamente, ne prepara la dismissione.

Se così fosse anche per Taranto saremmo davvero al deserto, con la differenza rispetto al capolavoro di Dino Buzzati, che in questo caso i tartari sono arrivati da tempo ed hanno sembianze facilmente riconoscibili.

Articolo di Gianni Venturi, responsabile siderurgia per la Fiom-Cgil nazionale, pubblicato su "il manifesto" del 26 gennaio 2023

La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

Iscrizione Newsletter

Ho letto e accetto Termini e condizioni d'uso e Informativa sulla privacy

Search