Al Signor Ministro
delle Infrastrutture e dei Trasporti
Egregio Signor Ministro,
nel gennaio 2014, dopo mesi di lotte e di cassa integrazione, sembrava che per lo stabilimento Fincantieri di Palermo si fosse aperta una fase nuova.
Era stato firmato un accordo locale in base al quale l’azienda, a fronte di una maggiore flessibilità nei tempi di lavoro, aveva affidato al cantiere di Palermo delle commesse, che, pur non risolvendo il problema occupazionale di tutti i lavoratori del cantiere (circa 450 dipendenti diretti e circa un migliaio dell’indotto), ci ha consentito di sopravvivere, sempre con la speranza che Fincantieri, prima o poi, rendesse strutturale un’equa distribuzione delle commesse tra i suoi stabilimenti.
In quel periodo, inoltre, si era aperta una discussione sugli investimenti da fare nel cantiere palermitano e sulla modernizzazione dei suoi apparati produttivi.
Fincantieri aveva ammesso che i due bacini galleggianti di 19.000 e 52.000 tonn. erano obsoleti ed aveva chiesto alla regione Sicilia ed al M.I.S.E. di non perseguire la strada della manutenzione dei due bacini esistenti, ma di impegnarsi a realizzare un nuovo bacino da 80.000 tonn., opera che Fincantieri avrebbe cofinanziato.
Sempre nel 2014, l’Autorità portuale di Palermo aveva sbloccato la parte di finanziamenti di propria competenza per la bonifica ed il consolidamento del bacino di 150.000 tonn., lavori in relazione ai quali Fincantieri si era impegnata alla realizzazione delle dotazioni di completamento (impianti, gru ecc.).
Oggi quel percorso si è arrestato e, in alcuni casi, ha subito degli arretramenti.
Nel marzo di quest’anno Fincantieri ha disdettato l’accordo integrativo aziendale, causando ad ognuno di noi lavoratori una perdita retributiva secca di circa tremila euro all’anno (ma solo per noi che siamo l’ultima ruota del carro, perché dirigenti e vertici continuano a percepire lauti stipendi, premi, superminimi e quant’altro).
Da allora, si è aperta tra le parti una trattativa infinita per il rinnovo dell’integrativo, che ha visto e vede Fincantieri adottare uno sterile atteggiamento di chiusura ad ogni nostra legittima richiesta e pretendere da noi, in cambio di commesse e carichi di lavoro, la rinuncia a diritti (l’eliminazione di permessi retribuiti, la richiesta di ore di lavoro non retribuite e – cronaca di questi giorni – la richiesta dell’impegno dei singoli lavoratori a rinunciare allo sciopero).
La vicenda del rinnovo dell’integrativo assume per il sito di Palermo dei connotati particolari e, per altro verso, la vicenda del sito di Palermo viene strumentalizzata da Fincantieri nell’ambito della trattativa nazionale
Sotto il primo aspetto, segnaliamo che, mentre agli altri stabilimenti d’Italia l’azienda ha assegnato commesse con una proiezione di lavoro decennale, a Palermo non ha assegnato nulla, se non piccoli ed episodici lavori di riparazione, e ciò agitando continuamente lo spettro della cassa integrazione (della quale abbiamo ancora netto e bruciante il ricordo…) o, addirittura, della chiusura del cantiere.
Sotto il secondo aspetto, accade che, sul tavolo della trattativa nazionale, Fincantieri, per condizionare la trattativa, subordini la destinazione di commesse per Palermo alla circostanza che in tutti gli altri cantieri i lavoratori rinuncino a diritti acquisiti; ma - ci chiediamo - è corretto e legittimo che un’azienda, peraltro a capitale pubblico, utilizzi il destino di un sito produttivo come arma di ricatto per spuntarla in una trattativa nazionale? In questo atteggiamento di Fincantieri dove stanno la sua politica industriale e la sua visione strategica?
Ma c’è di più, poiché Fincantieri strumentalizza anche le Istituzioni.
Ad aggravare il clima d’incertezza sul destino del cantiere di Palermo, infatti, l’azienda ha utilizzato anche le lungaggini della Regione Sicilia nell’approvare il finanziamento del bacino da 80.000 tonn., affermando che, a prescindere da ogni accordo, in caso di mancata realizzazione di quest’opera essa non affiderà più alcuna commessa al cantiere di Palermo,
In sostanza, l’azienda torna al suo vecchio vizio di voler “mollare” il sito di Palermo, ma, questa volta, ha buon gioco nel trincerarsi dietro le inefficienze della Regione Sicilia.
La vicenda regionale per l’approvazione del finanziamento del bacino, in effetti, non è stata felicissima: essa ha visto continui ritardi, incidenti di percorso parlamentari e quant’altro.
In definitiva, solo da pochi giorni la Regione Sicilia ha deliberato il finanziamento dell’opera, ma si apre ora la questione dei passaggi esecutivi, col rischio che trascorrano altri anni.
Anche il percorso per il finanziamento del bacino di 150.000 tonn. rimane in attesa di un pronunciamento definitivo del Suo Ministero per il completamento delle opere.
Le chiediamo, Signor Ministro, di fare tutto quanto in Suo potere, affinché i percorsi istituzionali per liberare gli investimenti per il cantiere di Palermo siano celeri e sgombri da ostacoli, in modo tale che l’azienda non abbia più alibi e dica chiaramente quale missione produttiva intenda disegnare per il cantiere di Palermo.
La crisi economica, che certamente ha interessato tutto il Paese, ha colpito e colpisce in modo ancora più pesante il nostro territorio, che da anni subisce un fenomeno di deindustrializzazione e desertificazione produttiva.
In questo quadro, riteniamo che un’azienda come Fincantieri, che è in mano pubblica, debba avere una visione strategica e non possa operare con logiche ciniche da “padrone della ferriera”.
Ma, Signor Ministro, non vorremmo che Lei equivocasse: non stiamo agitando la retorica di un certo meridionalismo, non chiediamo cattedrali nel deserto; chiediamo soltanto che delle ottime maestranze, come quelle del cantiere navale di Palermo, siano messe in condizione di lavorare senza scambiare il lavoro con i diritti.
Ci rivolgiamo a Lei, Signor Ministro, sicuri che ascolterà la voce di noi lavoratori.
I nostri migliori saluti.
Palermo, 29 settembre 2015
Le R.S.U. Fiom-Cgil Fincantieri Palermo
I lavoratori del cantiere navale di Palermo