Intervista sul Corriere della Sera a firma di Enrico Marro
L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, ha presentato un piano industriale che prevede il raddoppio dei ricavi entro il 2030, ma sugli stabilimenti italiani ha detto che dipenderà dal mercato. Cosa risponde la Fiom?
«Che non abbiamo alcuna garanzia sugli stabilimenti italiani – risponde la segretaria generale, Francesca Re David -. I ricavi si possono fare anche attraverso razionalizzazioni e altri interventi sui costi. Aumento dei ricavi non significa necessariamente aumento dei volumi».
Gli altri sindacati giudicano positivo l’obiettivo di aumentare i ricavi nel settore lusso con Maserati, Alfa Romeo e Lancia. Voi?
«Vale il discorso di prima: anche sul segmento premium incremento dei ricavi non significa per forza aumento dei volumi. Allo stato, l’unico segmento che sicuramente garantisce volumi è quello del mass market, non il premium. Quindi siamo preoccupati. In Italia, se non fosse intervenuta la cassa integrazione, ci sarebbero stati già licenziamenti. A fronte di una capacità produttiva di 1,6 milioni di vetture, ne produciamo solo 700mila, di cui 300mila sono i furgoni Ducato della Sevel. Il piano di Tavares non dice nulla sui prodotti nuovi, sul futuro dei sette stabilimenti in Italia e sulla componentistica».
Dice però che, entro il decennio, il 100% delle vendite in Europa dovrà essere costituito da veicoli elettrici. Un piano realistico?
«È positivo che Stellantis abbia questi obiettivi. Ma a maggior ragione si deve predisporre un disegno complessivo di politica industriale per salvaguardare l’industria dell’auto in Italia e i suoi 250mila occupati».
Per questo avete proclamare lo stato di agitazione? E perché senza Fim e Uilm?
«Sì, avviamo intanto le assemblee nei luoghi di lavoro. Poi, il 10 marzo, ci sarà l’incontro al ministero dello Sviluppo, al quale parteciperà anche Stellantis. Rispetto agli altri sindacati, abbiamo valutazioni diverse sul piano industriale. Dopo il 10 valuteremo, anche alla luce delle risposte che avremo dal governo, se è necessario inasprire la mobilitazione. Una valutazione che vogliamo fare con Fim e Uilm».
Cosa chiederete al tavolo?
«Che non si discuta di singoli aspetti ma del piano industriale complessivo. Secondo noi serve un accordo a tre, governo-azienda-sindacati, sul futuro dell’auto in Italia».
Cosa dovrebbe metterci il governo in questo accordo?
«Noi pensiamo che, come la Francia fa parte dell’azionariato di Stellantis (6,2%, ndr.), anche l’Italia dovrebbe entrare nel capitale. Inoltre, che le risorse pubbliche destinate al settore non dovrebbero servire solo a sostenere la domanda ma anche agli investimenti in innovazione, ricerca e sviluppo. Infine, ci vuole una politica di sistema sull’automotive, come c’è in Germania e in altri Paesi. L’Italia è stata un’eccellenza nella componentistica: bisogna salvaguardare questo patrimonio e attrarre le multinazionali nel nostro Paese. Ma se Stellantis non aumenta i volumi produttivi da noi, le aziende della componentistica andranno altrove».