Da poco più di una settimana Michele De Palma, 46 anni, è il nuovo segretario della Fiom-Cgil, la storica organizzazione dei metalmeccanici. Guerra, rischio della recessione, crisi della rappresentanza, la sfida del lavoro. Quella concessa dal neo segretario della Fiom a Il Riformista è un’intervista a tutto campo.
Siamo in una economia di guerra, ha ripetuto più volte il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Tradotto: aumento delle spese militari e impatto moltiplicatore sulla bolletta energetica (petrolio, gas). E sullo sfondo, sempre più ravvicinato, il rischio della recessione. E il sindacato?
La guerra distrugge, il lavora crea. Il sindacato è l'organizzazione dei lavoratori. Il lavoro non genera solo valore economico, prodotti, merci, servizi ma relazioni sociali e solidarietà. Nelle relazioni industriali non c'è la logica amico-nemico, ma un riconoscimento tra le parti attraverso la contrattazione.
Il sindacato è per propria natura contro la guerra, infatti, dopo la seconda guerra mondiale le due parole d'ordine della Cgil furono pace e lavoro.
L'economia di guerra è contro la contrattazione perché presuppone una condizione di emergenza che fa a meno della democrazia nei luoghi di lavoro.
Abbiamo bisogno di “economia per la pace”: il Presidente del Consiglio più che investire il 2% in armi dovrebbe destinare le risorse in scuola e università e promuovere il confronto sulle politiche industriali per la transizione ecologica favorendo l’occupazione.
La Fiom è impegnata a tenere le assemblee dentro i luoghi di lavoro e nelle città per affrontare l'impatto negativo della guerra sulle condizioni di lavoro e salariali, vista la perdita del potere d'acquisto derivante dall'inflazione e l'aumento degli ammortizzatori sociali derivanti dalla crisi di componenti e di acciaio.
Per restare sulla guerra. Ha scritto Donatella Di Cesare su Il Riformista: “Non era mai avvenuto che il popolo di sinistra si sentisse così tradito nei propri più alti ideali da coloro che hanno promosso una politica militarista. Prima hanno deciso l’invio delle armi, poi hanno votato l’aumento delle spese militari, ora sponsorizzano un’economia di guerra”.
Penso che il tema posto da Donatella Di Cesare non riguarda solo la sinistra, ma interroghi le formazioni politiche europee nate nella seconda guerra mondiale.
Per i partiti popolari del dopoguerra, che fossero democristiani, comunisti o socialisti, il lavoro e la conquista della pace erano costituenti.
In questi anni le forze politiche democratiche hanno lasciato sole le persone che per vivere devono lavorare. Una condizione di solitudine che ha generato rabbia, la rabbia ha due strade, da un lato quella dell'odio, dall'altra quella del conflitto democratico.
I partiti democratici oltre ad aver lasciato soli i lavoratori hanno abbandonato il secondo caposaldo della propria storia: il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. La parola ripudio non è solo un fatto etico e morale è una scelta che hanno fatto i nostri Padri Costituenti. La decisione del governo italiano di cercare la pace con le armi è un ossimoro come lo sono stati la guerra giusta o la guerra umanitaria. Penso che bisognerebbe tornare a svuotare gli arsenali e riempire i granai.
E' inaccettabile il solo pensiero di trovarci in un'economia di guerra, è del tutto evidente che si chiude un cerchio dei partiti popolari europei. La base di una discussione con le forze politiche di sinistra e democratiche devono essere pace e lavoro e su questo bisognerebbe confrontarsi. Non è in discussione che la Russia ha attaccato l’Ucraina, ma Zagrebelsky ci invita a "sobrietà e spirito critico, non per negare l'evidenza, ma per evitare il peggio". Sobrietà e spirito critico sono quelli che mancano in questo momento nel dibattito pubblico ed invece sono necessari per impedire il rifiorire dei nazionalismi e del riarmo.
La guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, sosteneva Von Clausewitz, ma nella realtà è la prosecuzione dell'economia con altri mezzi. La nostra Costituzione contiene i principi per poterci salvare dal rischio della guerra globale e atomica. La corsa al riarmo rappresenta un processo di ritorno del ruolo degli Stati-nazione, la prima vittima è l'Unione sociale, economica, politica dell'Europa.
La Comunità europea del carbone e dell'acciaio nacque proprio dalla necessità di superare il rischio di un conflitto, basato su ragioni economiche, tra i singoli Stati.
La pandemia prima, ora la guerra. In una eterna emergenza, che spazio ha il rilancio di una battaglia per il lavoro?
L'Italia è stata salvata dai lavoratori nella pandemia. Nella pandemia senza i lavoratori della sanità non si sarebbe salvaguardata la salute, senza i metalmeccanici sarebbe collassata l'economica del Paese.
Sono stati i lavoratori a raggiungere risultati positivi nella ripresa del PIL, ma questo non è stato riconosciuto nè dal governo nè dalla Confindustria.
Ad oggi non c'è nessun confronto contrattuale con il governo e con le imprese per affrontare il nuovo scenario.
Fa eccezione il confronto con la Federmeccanica sull'industria dell'automotive. Ma governo e imprese non pensino che la strada da dover imboccare sia il contenimento salariale e il mantenimento della condizione di precarietà per le giovani generazioni.
Questi sono i due primi punti di una battaglia che si dovrà fare per salvaguardare il potere d'acquisto attraverso la riforma del fisco e la riforma dei contratti sull'Ipca e la stabilizzazione dei rapporti di lavoro per superare la precarietà.
Per aver proclamato, il 16 dicembre scorso, lo sciopero generale, la Cgil è stata accusata, anche da esponenti del fronte progressista, di irresponsabilità, avventurismo e così via. Le chiedo: il conflitto sociale è un’eresia di questi tempi? E come si difende oggi il valore dell’autonomia del sindacato rispetto a governi presunti amici e a partiti che dicono di essere dalla parte dei lavoratori?
Il confronto delle differenze, il pluralismo, sono elemento costitutivo della democrazia. E' per questo che stiamo tenendo assemblee nei luoghi di lavoro sui temi della guerra e dei suoi effetti nell'economia.
L'autonomia di pensiero della Fiom è il risultato di una pratica democratica e partecipativa con le persone che lavorano.
Autonomia e democrazia permettono alla Fiom di non sottostare alla subalternità nei confronti del governo e delle imprese.
Il ruolo del sindacato è avere una propria visione del lavoro e della società e contrattare con le controparti.
A chi accusa la Cgil e la Fiom si essere irresponsabili e avventuristi, ricordo che se abbiamo tenuto socialmente in una fase di emergenza come quella della pandemia, il merito deve essere riconosciuto al valore negoziale che si è determinato con la costruzione dei protocolli per tutela la salute e la sicurezza, per tutela dell'occupazione e far ripartire sistema industriale del Paese.
Sul Def chi ci accusa di essere irresponsabili e avventuristi non si è assunto la responsabilità di confrontarsi con le proposte concrete che noi abbiamo avanzato. Al posto di investire sul riarmo, è necessario investire su scuola e università e nel potere d'acquisto dei salari per favorire la stabilità e la ripresa dell'economia anche interna in una situazione difficile come questa che stiamo attraversando.
A chi ha indossato l'elmetto ricordo le parole di Giuseppe Di Vittorio sui carri sovietici a Budapest: "la liberazione del lavoro è possibile solo con il consenso e con la partecipazione dei lavoratori e del popolo, garanzia di libertà, democrazia, indipendenza".
Non tener conto della sofferenza sociale, determina quello che diceva Don Tonino Bello: "le guerre generano povertà, ma che anche la povertà genera la guerra".
Noi abbiamo l'obiettivo di fermare la guerra e combattere la povertà.
La crisi della rappresentanza non investe solo i partiti ma anche i corpi intermedi, e tra questi il sindacato, Non è un campanello d’allarme per il nostro sistema democratico?
Assolutamente sì, nella relazione programmatica quando sono stato eletto segretario generale della Fiom ho citato Claudio Sabattini, il quale già diceva nell'80 che si era concluso un ciclo e che il sindacato si poneva in una situazione di difesa.
Si individuavano due possibilità di difesa: l'adattamento del sindacato o la ripresa di un'iniziativa di conflitto per riportare al centro le questioni delle persone che per vivere devono lavorare.
Per affrontare la crisi di rappresentanza abbiamo due punti di riferimento che sono le elezioni delle Rsu e il voto sugli accordi sindacali.
E' ora di investire per superare la crisi della rappresentanza attraverso la realizzazione del principio costituzionale della democrazia in economia, e dall'altra attraverso il superamento della precarietà in particolare per i giovani per la scadenza dei contratti e per i migranti per la scadenza dei permessi di soggiorno. Il futuro del sindacato è nei delegati e nei giovani che lottano per i diritti a scuola, che scioperano e contrattano per le stabilizzazioni, che manifestano per il clima, si mobilitano per la pace.
La piena democrazia si realizza quando nell'uguaglianza si riconoscono le diversità.
Intervista pubblicata su «Il Riformista» del 14 aprile 2022