Domenica, 22 Dicembre 2024

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«Sì all'obbligo vaccinale ma serve una legge»

Intervista a Francesca Re David su Left di Donatella Coccoli

Un'estate gelida nelle fabbriche italiane. Prima le polemiche e il contrasto ora sindacati e Confindustria sull'obbligo del Green pass per l'accesso alle mense aziendali, poi il percorso sempre più accidentato del decreto delocalizzazioni che dovrebbe impedire casi come quello, eclatante, della Gkn di Campi Bisenzio i cui proprietari, una multinazionale inglese, hanno deciso di licenziare i lavoratori nonostante lo stabilimento fosse in attivo. Due nodi cruciali su cui il governo, dice Francesca Rè David segretaria generale della Fiom Cgil, è chiamato in causa, proprio per indicare una direzione che faccia chiarezza sull'obbligo vaccinale e quanto alle delocalizzazioni, che dia regole precise contro lo strapotere delle multinazionali. 

Francesca Rè David cosa pensa dell'obbligo del Green pass per le mense aziendali? Da quanto ha detto il presidente di Confindustria Bonomi è passato quasi il messaggio che il sindacato strizzi Rocchio ai no-vax.

«Devo fare innanzitutto una premessa necessaria e doverosa. Questo attacco, partito soprattutto da Bonomi e dalla Confindustria lombarda, è qualcosa di irricevibile. Non smetterò mai di ripeterlo; quando il governo Conte ha emanato il decreto del “tutti a casa", lì8 marzo 2020, nessuno aveva detto come si doveva stare nei luoghi di lavoro. Noi abbiamo dovuto scioperare per imporre le chiusure e poi i protocolli per la prevenzione e la sicurezza, con i distanziamenti, le mascherine ecc. E questo accadeva in zone con molte fabbriche, con tante persone che prendevano i mezzi pubblici per andare a lavorare mentre le terapie intensive erano piene di malati di Covid-19. Noi, ripeto, abbiamo dovuto lottare per far chiudere le fabbriche. Quindi che sia passato questo messaggio e che sia stato dato valore a questo messaggio è proprio inaccettabile. Dopo di che, noi abbiamo sempre detto, a questo governo e a quello precedente, che doveva essere la comunità scientifica, poi naturalmente con la mediazione della politica, a dare indicazioni su cosa fare in questa fase della pandemia. E infatti abbiamo costruirò protocolli sulla base delle indicazioni della comunità scientifica».

Rispetto all'obbligo vaccinale qual è la sua opinione?

«Noi Fiom siamo assolutamente pro vaccino, siamo tutti vaccinati e facciamo pure il tampone ogni dieci giorni perchà pensiamo che il sistema del tracciamento sia fondamentale. Se il tema è l'obbligo vaccinale, questo lo può definire solo una legge, secondo quanto dice l’articolo 32 della Costituzione. Quindi non si può scaricare sulle parti sociali una cosa che il governo non riesce a fare perché non si mette d'accordo con la Lega - che non voleva il distanziameli con le mascherine ecc. - che è dentro il governo. Insomma, non è una questione di principio, è una questione concreta; l'obbligo vaccinale si può fare solo per legge. Bonomi al Meeting di Rimini ricorda il caso del l'antipolio, per la quale sono siate fatte diverse leggi, è ovvio che sia così. Diversamente, si aprirebbero dei contenziosi perché le parti sociali non sono il legislatore e poi naturalmente se c'è un obbligo ci sono anche le sanzioni. Non ricordo che iI sindacato abbia mai fatto un accordo per sanzionare i lavoratori. Quindi il governo deve fare la legge sull'obbligo vaccinale, noi la sosterremo. Noi siamo per l'obbligo vaccinale, siamo per chi non ha i vaccini nel mondo e deve averli, siamo per la gratuità dei vaccini. Dopo di che, rispetto alla narrazione che è stata fatta , va detto che noi nelle fabbriche abbiamo costruirò dei protocolli importanti; a mensa si mangia con le barriere divisorie in plexiglass e con i turni distanziati. E poi per la prima volta dopo tanti anni, attraverso i temi della salute e sicurezza, abbiamo ripreso a intervenire sull'organizzazione del lavoro - mense, distanziamento, postazioni - una cosa che Confindustria non ha mai mandato giù. Allora, in conclusione, noi abbiamo fatto i protocolli, abbiamo scioperato per averli e adesso ci spiegano che attraverso i protocolli dobbiamo sanzionare i lavoratori perché il governo non è capace di decidere se fare o non fare una legge sulla base di quello che decide la comunità scientifica?».

Quindi il sindacato sull'obbligo del Green pass cosa sostiene?

«Non siamo d'accordo nell'imporre il Green pass per protocollo, perché si parte dalla mensa ma l'idea è tutto il perimetro aziendale. E’ una strategia alternativa all'obbligo vaccinale. Quindi, ripeto, occorre una legge, occorre che il governo, sentendo la comunità scientifica, decida il percorso da prendere. E contemporaneamente nei siamo per i ramponi gratuiti che ormai cominciano ad esserci nei luoghi di lavoro in tutta Europa, perchè sono fondamentali per il tracciamento, indipendentemente dall’obbligo vaccinale».

Passiamo al problema delle delocalizzazioni. Il presidente della Confindustria ha criticato duramente anche la bozza del decreto considerandolo punitivo per le imprese. Intanto dal 22 settembre scatteranno i licenziamenti alla Gkn, un esempio lampante di multinazionali che delocalizzano. Cosa chiede la Fiom al governo?

«Innanzitutto chiederei che prima di fare leggi e decreti il governo ascoltasse lavoratori e i loro rappresentanti che hanno una intelligenza e una competenza su tali questioni che varrebbe la pena di conoscere. Non come sta succedendo adesso che prima fanno le leggi e i decreti e poi ci chiamano a doverci fare i conti. Non c'è alcun confronto con il governo su niente. Il governo procede, decide, fa le mediazioni al proprio interno, ascolta Confindustria, si spaventa quando Confindustria dice qualcosa, ma il sindacato conosce le cose solo quando sono già fatte. E questo vale per la riforma degli ammortizzatori sociali dove si, ci sono degli incontri, ma in realtà c'è una determinazione già presa. E accade anche per il decreto delocalizzazioni per il quale non c'è stato alcun confronto con il sindacato. La stessa cosa avviene per il Piano nazionale di ripresa e resilienza mentre negli altri Paesi, in Francia e in Germania, ricordo, ci sono tavoli aperti e sindacati sanno esattamente per cosa vengono spesi i soldi. Noi invece non sappiano nulla sul piano della siderurgia nè su cosa si farà dell’automotive. E immagino che la stessa situazione si riproporrà in autunno quando verrà affrontato il tema delle pensioni».

E nello specifico sul decreto delocalizzazioni cosa pensa?

«Rispetto alla bozza che abbiamo visto sui giornali possiamo dire che è molto debole. La questione non è far pagare di più le aziende che pur non essendo in crisi se ne vanno. Nè la Whirlpool, ne la Gkn ne la Gianetti o la Timken sono in crisi, sono aziende in settori che tirano e sono piene di commesse. Noi dobbiamo impedire che il sistema industriale dell'Italia - che continua a essere il secondo Paese manifatturiero d'Europa, in particolare nel l'automotive, oltre che fornitore d'eccellenza a livello mondiale - venga liquidato dalle multinazionali. Che molto spesso hanno acquisito aziende italiane già leader e che poi chiudono per delocalizzare, nell'Europa stessa, tra l'altro. Si tratta di evitare questo processo, oltre al dramma sociale conseguente. Se un'azienda decide di andarsene, bisogna che lo dica con grande anticipo, cioè un anno prima. Perché non è vero che decidono dalla sera alla mattina. Dopo di che, va definito un percorso che impedisca la chiusura dell'azienda, o nel confronto sindacale e governativo, o anche rilevando l'attività di quell'azienda, trovando un acquirente per evitare di perdere le attività industriali del territorio. E naturalmente le aziende che hanno preso soldi pubblici, come nel caso della Whirlpool, devono pagare parecchio, Confindustria e chi gli va dietro, sostengono che occorre mettere in campo politiche attive per formare i lavoratori ma se tu formi i lavoratori e le imprese chiudono, per cosa lì formi? Servono invece nuovi ammortizzatori sociali che colleghino la formazione in orario di lavoro, che riducano gli orari di lavoro, allargando i contratti di solidarietà, perché ogni salto tecnologico porta a una ridistribuzione degli orari di lavoro. E bisogna prevedere almeno un anno di tempo per discutere come mantenere l'attività produttiva, anche eventualmente con un intervento - strutturale o per una fase - pubblico, visto che ci sono le risorse del Pnrr» .

Il Pnrr dovrebbe mirare allo sviluppo futuro. Le sembra che vengano delineati i settori strategici industriali su cui puntare?

«Il Pnrr dà delle indicazioni precise dal punto di vista della compatibilità ambientale, della transizione energetica e cosi via, e non c'è dubbio che il settore dell'automotive sia particolarmente impattato perché ovviamente passare dal motore endotermico al motore elettrico presuppone cambiamenti. Cosa abbia intenzione di fare il governo non si sa, al di là degli slogan. Questo governo continua una tradizione ormai ventennale in Italia: pensa che le politiche industriali le faccia il mercato, e appunto, è stato un disastro. Negli altri Paesi non è così, non lo è in Francia nè in Germania che sono i nostri competitor. Faccio un esempio: noi non produciamo più i semiconduttori, li fa la Cina, il biomedicale pure, l'abbiamo venduto tutto ai cinesi, della siderurgia non si capisce quale sia il piano strategico. La transizione energetica è un elemento fondamentale ed è chiaro che vi si debba investire, creando però dei vincoli: io ti do i soldi ma tu devi creare occupazione stabile, devi salvaguardare le filiere. È chiaro quindi che occorre un ragionamento di sistema, che preveda una formazione anche dei lavoratori che però, insisto, deve essere nell'ambito del rapporto di lavoro e in orario di lavoro. Se non facciamo un ragionamento di sistema, rischiamo che una parte consistente delle risorse del Pnrr la prendano le multinazionali che poi decidono di andarsene e di portare ricchezza e soldi da un'altra parte. Il rischio è di privatizzare i] profitto e socializzare il debito».

Torniamo ai lavoratori della Gkn che in questa estate sono stati, e continuano ad esserlo, protagonisti di una lotta anche inusuale con il loro slogan «Insorgiamo». Un vero atto politico che partendo dal problema dell'azienda vuole coinvolgere tutto il Paese sui problemi del lavoro. Cosa può fare il sindacato?

«Lo slogan, ricordo, era la parola d'ordine dei partigiani di Firenze e i lavoratori della Gkn lo hanno ripreso con grande efficacia. Il sindacato? E ovvio che ci stiamo muovendo, abbiamo fatto scioperi anche in tempo di pandemia. Abbiamo rivendicato con grande forza un tavolo su tutto il settore dell’automotive, da Stellantis al resto. Non esiste un Paese industrializzato che non abbia un'industria automobilistica e in Italia riguarda circa 250mila lavoratori. Il governo però non sta dimostrando una grande capacità di visione e neanche di ascolto; si spaventa, appunto, se Confindustria alza la voce, ma pensa che sui temi dei lavoro bisogna metterci semplicemente qualche pezza. Questo non è sufficiente. Adesso a settembre riprendono tutti i tavoli di crisi - Whirlpool, Gkn, Gianetti -: noi ci saremo. E faremo un'assemblea dei delegaci Fiom il 16 settembre. Ecco, io penso che questo sia il momento di connettere insieme le cose. A partire dal settore dell'automotive, dove c'è molta fibrillazione. E se non ci staranno a sentire, gli unici strumenti che abbiamo sono iniziative di mobilitazione e di lotta. Se le cose non cambieranno, bisognerà trovare la forza e il modo... Credo che ci siano le condizioni e la necessità di mettere in campo una mobilitazione forte. E i metalmeccanici devono dare un segnale».

www.left.it

La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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