«Il blocco dei licenziamenti dovrebbe restare fino alla fine dello stato d’emergenza. Non può essere questa l’unica politica sulla quale si torna indietro, a pandemia ancora in corso». Francesca Re David — segreteria generale della Fiom, i metalmeccanici della Cgil — è stata la prima sindacalista a fare sentire il suo no quando il ministro Stefano Patuanelli si è detto contrario alla proroga dello stop ai licenziamenti, che scade a seconda dei casi tra metà novembre e fine anno.
La convince l’ipotesi di una proroga selettiva? E cioè un blocco valido solo per le aziende che usano la cassa integrazione con causale Covid o gli sconti sui contributi per chi fa tornare i dipendenti al lavoro?
«Il blocco dovrebbe valere per tutti, fino a quando ci sono ammortizzatori sociali disponibili».
Anche aggiungendo altra cassa integrazione, se si dovessero esaurire le ulteriori 18 settimane che il governo dovrebbe prevedere nella legge di Bilancio?
«Non si può aver detto alle persone di andare comunque a lavorare, nonostante i pericoli del Covid. Poi di chiudersi in casa, per limitare il contagio. E infine di prepararsi a essere licenziata. Sarebbe questa l’idea di coesione sociale che ha in testa il governo?».
C’è chi sostiene che il blocco sia incostituzionale, perché contrasta con la libertà d’impresa.
«Ci vogliono ammortizzatori sociali, universali e solidali durante la crisi e mentre le imprese ricevono sostegni. E il governo si dovrebbe sbrigare ad approvare la riforma degli ammortizzatori sociali che dovrebbero puntare alla redistribuzione del lavoro. E spingere sulla formazione nell’orario di lavoro».
Confindustria dice che il blocco pietrifica l’economia, perché impedisce il passaggio di lavoratori dai (tanti) settori in difficoltà ai (pochi) che invece vanno bene?
«Ma per passare da un’azienda a un’altra, da un settore a un altro non c’è mica bisogno di essere licenziati. Basta ricevere e accettare un‘altra offerta. No, no, è solo un alibi. Il blocco ha fatto in modo che, a fronte di un crollo delle ore lavorate del 26%, la disoccupazione sia salita “solo” del 2,5%. Ha impedito che l’Italia finisse in un vero e proprio dramma sociale. La verità è un’altra».
E quale?
«Dal 2000 ad oggi, con l’aiuto delle varie leggi che si sono succedute, molte imprese hanno preferito mandare via i dipendenti, invece che riconvertirli verso la digitalizzazione. Per prenderne altri a costo più basso e con meno tutele. E adesso ci risiamo».
La Fiom è pronta allo sciopero?
«Uno sciopero in programma ce l’abbiamo già, il 5 novembre. Riguarda il rinnovo del contratto, con una trattativa partita malissimo. Ma siamo prontissimi ad aggiungere altri temi».
Intervista di Lorenzo Salvia pubblicata sul "Corriere della Sera" del 17 ottobre 2020