Non si arresta la scia di sangue dei morti sul lavoro, tanto che diventa persino difficile tenerne il conto: negli ultimi anni la crescita è costante, sembra inarrestabile, sicuramente è ingiustificabile e segnala l’allarme in cui i lavoratori dell’industria, dell’edilizia, dei trasporti e dell’agricoltura lavorano e vivono. Il risultato è un bollettino tragico in cui la media di 3 morti sul lavoro al giorno segna la differenza fra civiltà e inciviltà. Le domande che sorgono sono molteplici.
Se la natura di decessi e infortuni ci fa capire che il caso c’entra ben poco e che la mera fatalità non esiste, perché non vengono compiute a monte quelle scelte di organizzazione del lavoro che permetterebbero di evitare tragedie? Perché se le cause più comuni degli infortuni sono ben note – l’idoneità delle modalità operative, le mancanze nelle procedure di sicurezza, l’assenza di formazione, gli ambienti non a norma, l'illuminazione scadente, la mancanza della delimitazione delle aree di sicurezza – nulla si fa per risolvere la situazione? E perché sui media si continua a parlare di fatalità, disgrazia, morte bianca, quando il rischio è ben presente e in larga parte evitabile?
Una delle risposte è che se nell’organizzazione del lavoro contano solo produttività e redditività d’impresa è ovvio che poco interessa tutto il resto, per cui l'abbassamento del costo del lavoro, l'intensificazione dei ritmi e l'aumento delle ore lavorate peggiorano le condizioni di chi rischia vita e salute. Così gli obiettivi di produttività diventano un ricatto contro i lavoratori specie per i più precari, in contrasto con uno degli articoli più trascurati della nostra Costituzione, l’articolo 41 in cui si sancisce che «l'iniziativa economica privata è libera» ma «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». I dati Inail dei primi 8 mesi dell’anno dichiarano 685 lavoratori deceduti, 416.894 denunce di infortuni e 41.032 denunce di malattie professionali.
I dati sono freddi, inequivocabili e purtroppo sono destinati a crescere ancora fino alla fine dell’anno, anche perché le imprese non sembrano avere alcuna intenzione concreta di investire in maniera reale su questa piaga, mentre sono sempre pronte a colpevolizzare i lavoratori addossando loro le responsabilità come se la vita sui luoghi di lavoro non riguardasse chi dal lavoro di altri trae profitto.
Tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori è un impegno costante che deve occupare senza sosta il sindacato, le Rsu e gli Rls, senza indietreggiare né lasciare spazio a visioni e opzioni che sviliscono le persone e la loro dignità. La sicurezza e la salute dei lavoratori dovrebbero essere una delle priorità dell’azione del governo per trovare le soluzioni che fungano da deterrente, perché non ci si può affidare solo alla magistratura per spingere le aziende a fare prevenzione.
Nel caso del terribile incidente alle Acciaierie Venete del 13 maggio 2018 a Padova, il procuratore aggiunto ha chiuso l’inchiesta preliminare mettendo sotto indagine sei persone e tre aziende, considerate responsabili amministrative di ciò che successe quella domenica, quando una siviera ricolma di materiale incandescente precipitò dopo la rottura di un perno, investendo gli operai al lavoro. Sergio Todita e Marian Bratu persero la vita dopo settimane di atroci sofferenze, mentre altri due operai, Simone Vivian e David Di Natale, si salvarono con lunghe prognosi.
Indagati per omicidio colposo e lesioni sono il presidente e il direttore dello stabilimento di Acciaierie Venete, il presidente della Danieli centro Cranes spa, il presidente e l’amministratore delegato di Danieli & C. officine meccaniche. Viene contestata loro la violazione delle norme per la tutela della salute e della sicurezza in ambiente di lavoro, che avrebbe provocato la morte dei due operai e le lesioni degli altri due.
La parte più importante di questo procedimento è che nell’incartamento accusatorio si parla di «reati commessi nel loro interesse e vantaggio vista la necessità di contenere costi produttivi, allo scopo di accelerare i tempi e i ritmi di lavoro con il fine d’aumentare la produttività»: accuse che non lasciano spazio a interpretazioni, analoghe alle imputazioni contro la ThyssenKrupp, dopo la morte di sette operai nel rogo dello stabilimento torinese la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007.
E qui si ritorna all’articolo 41 della Costituzione, alla necessità di costringere le imprese a predisporre le adeguate misure di prevenzione contro incidenti e malattie perché gli investimenti su salute e sicurezza non possono essere considerati come una perdita di tempo e denaro, ma sono un investimento sulla vita e sul benessere dei lavoratori.
*Fiom Padova