Lo scorso 7 novembre a Firenze si è svolto il convegno organizzato dalla Fiom su Industria 4.0. Un fenomeno che si inquadra in una società sempre più digitalizzata, dove l’elemento di forte rottura rispetto al passato è rappresentato dalla connessione tra i macchinari e dalla loro interazione col lavoratore, resa possibile dalla progressiva diffusione di internet e dall’abbattimento dei costi delle tecnologie disponibili sul mercato.
Oggi, nella Firenze culla del Rinascimento, si parla più del bisogno di conservazione che di innovazione per l'esigenza di tutelare il patrimonio artistico e culturale, ma gli attori sociali e politici sono consapevoli di dover costruire da oggi le condizioni per continuare a essere protagonisti domani. Qui parlare di Industria 4.0 può sembrare azzardato, si contano sulle dita delle mani le aziende in cui le tecnologie d'avanguardia sono inserite nei cicli produttivi ma in vista di una crescita la Regione Toscana - come riferito al tavolo dall'assessore a istruzione, lavoro e formazione, Cristina Grieco - già si interroga su come sostenere i lavoratori con processi di formazione continua di qualità e coerenti col fabbisogno formativo del territorio.
Lo fa da un punto di vista privilegiato perché all'interno della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha il ruolo di coordinare la IX Commissione che si occupa di Istruzione, Lavoro, Innovazione e Ricerca. Un osservatorio di confronto che si pone l'obiettivo di coordinare le politiche nazionali col livello regionale e poi di confrontarsi con le parti sociali. La Regione Toscana dunque si approccia ad un ruolo di mediazione, indirizzo e visione al centro di una rete di collegamento tra scuola, enti di Ricerca, Università e mondo del lavoro, indirizzata all'apprendimento permanente.
Per farlo punta a sostenere istituti tecnici superiori, scuole di formazione post diploma e ripensa alle politiche attive per la riqualificazione di chi è uscito involontariamente dal mondo del lavoro al fine di evitarne l'esclusione sociale.
Il Direttore Generale di CNA Firenze, Franco Vichi, ricordando che il 97% delle imprese nazionali conta meno di 20 dipendenti, sottolinea come sia per le PMI essenziale presentarsi sul mercato con un'offerta più ampia e più completa. Per riuscirci i fondi regionali e statali possono rappresentare una chiave. Ma è necessario che le informazioni sulle modalità di accesso circolino. Anche in questo caso è centrale il ruolo che possono svolgere le associazioni di categoria.
Dati recenti del Politecnico di Milano hanno registrato che ad oggi l’Italia è tra i Paesi che utilizzano maggiormente tecnologie automatizzate nell’industria: si contano in media 160 robot industriali ogni 10.000 dipendenti nell'industria manifatturiera rispetto ai 150 della Spagna e ai 127 della Francia. Non siamo poi così lontani dagli altri Paesi europei e significativo è l'aumento del 9% nel 2017 sul 2016 della spesa in macchinari.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono invece quelli in cui le imprese italiane sono in forte ritardo rispetto ad altre realtà Europee. Secondo Eurostat, in Italia il livello di spesa delle imprese è pari allo 0,7% del PIL, meno della metà di quanto fanno registrare Germania e i Paesi Scandinavi, dove in alcuni casi il dato supera il 2% del prodotto interno lordo. Questo è sicuramente dovuto alla peculiare composizione del nostro sistema produttivo, caratterizzato da PMI ma, allo stesso tempo, occorre colmare un gap ancora rilevante e il soli incentivi pubblici non possono bastare.
Per stimolare giovani e imprese a mettersi in gioco e per inserire gratuitamente nel mondo digitale le imprese e qualificare contemporaneamente i giovani, la Camera di Commercio di Firenze ha deciso di sostenere l'iniziativa del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di Unioncamere e Google Italia “Crescere in Digitale”. Il progetto rivolto ai ragazzi dai 16 ai 29 anni che non studiano e non lavorano iscritti a Garanzia Giovani consiste in un percorso formativo di 50 ore online con verifica finale. In tutta Italia il programma prevede fino a 3.000 tirocini della durata di 6 mesi, pagati 500 euro: il Presidente della Camera di Commercio Leonardo Bassilichi ricorda di averlo proposto in particolare alle piccole realtà artigiane ma senza grandi risultati: sono mancati sia ragazzi che imprese pronte ad accoglierli.
Sfiducia nel progetto? Troppa burocrazia per l'attivazione? Forse, di certo 500 euro sono pochi per un impegno così importante...
La domanda che pone provocatoriamente la Cgil fiorentina è come riuscire ad avere un sistema che favorisca seriamente l'incontro tra domanda e offerta di lavoro se proprio coloro che per primi dovrebbero favorire l'occupazione sono in maggioranza precari? Sì, perché i dipendenti dei Centri per l'Impiego, le strutture pubbliche coordinate dalle Regioni per attuare iniziative di politiche attive, in Toscana vivono questa assurdità. Il pubblico non può relegarsi al ruolo di finanziatore ma essere il regista del cambiamento.
Nella prevalenza dei luoghi di lavoro, al miglioramento tecnologico non sono corrisposte maggiori tutele ma la frantumazione dei diritti e delle condizioni: precariato, contratti di somministrazione, ricatti: questa disgregazione ha reso i lavoratori più deboli. Il sindacato ha il compito di evitare la frammentazione sociale.
Anche in questa direzione va la convinzione della Fiom che le 24 ore di formazione obbligatoria dei lavoratori inserite nel triennio di validità del ccnl sono una conquista importante. Per il segretario della Fiom di Firenze, Daniele Calosi, la formazione è da intendersi come diritto permanente dentro l'orario di lavoro, quindi il lavoratore deve essere pagato per studiare e aggiornarsi dentro le 8 ore di lavoro. Se la spinta tecnologica non è accompagnata da un processo formativo vero non saremo competitivi non solo come aziende ma come Paese. E' il caso di interrogarci su come riconquistiamo questa dignità.
Fino a qualche anno fa aspettavamo l'autobus senza sapere con certezza se e quando questo sarebbe arrivato. Oggi un cartello luminoso ci informa sui tempi di percorrenza abbattendo distanze spazio temporali. Possiamo dire di stare meglio rispetto al passato? No. L'accesso all'informatizzazione, alla digitalizzazione ci ha emancipato ma non ci ha messo tutti nelle stesse condizioni. Perché alla crescita della tecnologia non si è accompagnato un aumento del sistema di tutele e diritti e il lavoro si è gradualmente impoverito, senza consentire l'emancipazione delle persone.
Contrattare l'innovazione tecnologica nelle imprese metalmeccaniche oggi significa poter contrattare una liberazione di tempo per i lavoratori, senza riduzioni di salario poiché si può riuscire a compiere le stesse azioni al meglio e in minor tempo, ma quella differenza deve essere comunque retribuita.
Dello stesso avviso sembra essere Massimo Messeri, Presidente di Nuovo Pignone - Baker Huges a General Electric company, che va oltre: per lui, oggi, la funzionalità non ha bisogno di una compresenza tra persone perché abbiamo strumenti in grado di abbattere queste distanze.
General Electric conta 500 stabilimenti nel mondo. Solo 7 di questi sono certificati come brilliant factory, caratterizzati cioè da 4 elementi: virtual manufacturing, automazione tramite sensori, ottimizzazione della produzione e ottimizzazione della supply chain, ovvero la catena di fornitura.
Le brilliant factory sono anche spazi dove GE mostra alle PMI cosa significa fare industria 4.0, come intervenire per digitalizzare la produzione.
Nuovo Pignone infatti prima di collaborare con PMI del territorio le incontra per analizzarne le capacità e si rende disponibile a compartecipare ad eventuali investimenti. A Firenze è presente il Learning Center di BHGE, un centro di formazione molto avanzato che attira ogni anno circa 10 mila persone non solo dipendenti del gruppo ma anche fornitori e clienti. Dei 900 fornitori dell'indotto in Italia, molti sono partner, cioè condividono le strategie dell'azienda capofila.
Questo territorio non è solo arte e turismo ma metalmeccanica avanzata: qui Nuovo Pignone è supportato da un tessuto industriale, da una comunità scientifica che lo sostiene fatta di Università, laboratori di ricerca e istituzioni che condividono piani di sviluppo quindi ci sono attori che fanno sistema, un piano solido lo si porta avanti tutti assieme, ogni soggetto nel suo ruolo.
Industria 4.0 è minaccia per l'occupazione? No, per Messeri la minaccia per l'occupazione è data da imprese che chiudono perché non più competitive, perché in ritardo rispetto a un fronte di cambiamento. Se invece si trasformano genereranno nuova occupazione. Ma forse l’approccio giusto per affrontare la questione è porre la domanda da un’altra prospettiva: quanti posti di lavoro verranno persi se l’Italia perde il treno del digitale?
Spesso i processi innovativi sono trainati da multinazionali. Per la segretaria generale della Fiom, Francesca Re David, ciò in parte è dovuto all'assenza da anni di politiche industriali. Abbiamo perso assets strategici importanti, l'Italia non è più alla testa di innovazione dei processi ma trasforma prodotti sviluppati altrove.
Ne è un esempio l'informatica con Olivetti.
Un preciso indirizzo pubblico in questo Paese non c'è, latita anche sull'innovazione perché ad un intervento finanziario importante non fa da contrappeso nessun vincolo rispetto ad esempio all'occupazione e alla qualità dell'occupazione.
Serve un'idea di sviluppo del Paese con al centro un obiettivo: il benessere delle persone che producono. La tecnologia non è neutra ma dipende da chi la usa, come la usa e con quali fini: o partecipi alla discussione di come e cosa produci o ne gestisci solo gli effetti (orario, salario...).
Anche Maurizio Landini, segretario Cgil è d'accordo nel registrare che manca ancora un'idea di sistema. Un processo di cambiamento di questa natura non si può fermare: le tecnologie digitali ci sono, l'automazione c'è: la novità che si determina mettendo assieme queste due tecnologie è un mutamento nel funzionamento dell'impresa e del sistema in senso generale.
Un ruolo chiave affinché questo processo sia fatto con utilità sociale ed economica per le persone e per il Paese in senso generale, riguarda che tipo di politica economica viene fatta per far sì che vi sia una redistribuzione equa della ricchezza prodotta, e riguarda quale politica dei costi/benefici si adotta in relazione alla sostenibilità ambientale.
Dei 90 milioni di auto prodotte nel mondo, 30 vengono dalla Cina. Il governo cinese ha deciso di puntare entro il 2030 ad avere il 30% auto elettriche. Siamo di fronte ad un processo che cambierà il sistema di produzione della mobilità.
Se il futuro è l'auto elettrica o ibrida noi non ci siamo: ma il punto non è aver paura dell'innovazione, dietro ad essa ci son persone che lavorano, il punto è chi la governa; il problema non è la mancanza di competenze ma se c'è un progetto di trasformazione di questo quadro. Se serve sviluppare la creatività delle persone, che fanno cose utili e non inquinanti, mettiamo le persone al centro e aumentiamo la qualità.
Occorre passare dalla discussione su come si favorisce il passaggio a Industria 4.0 a quella su come lo si gestisce.
Il ruolo pubblico è decisivo. Il provvedimento di Calenda è una novità ma chi ha utilizzato questi finanziamenti? Più dell'80% di questi è andato al nord, aumentando così il divario sud nord.
Le tecnologie vanno usate dentro sistema di regole con vincoli sociali, altrimenti avremo nuovi problemi di riequilibri mondiali. Guardando al passato, i metodi di lavoro tayloristi non sono stati calati da un giorno all’altro, la loro diffusione è stata il frutto di un lungo processo di negoziazione sociale in cui Stato, sindacati e associazioni datoriali hanno condiviso i vincoli sociali intorno ai quali quel determinato modello organizzativo potesse divenire quello dominante. La politica dei salari alti, l’istituzionalizzazione della lotta di classe nella contrattazione collettiva, rappresentavano gli equilibratori sociali che concedevano stabilità al sistema. Oggi, con un mondo del lavoro sempre più frammentato e con un'evoluzione tecnologica che sembra agevolare questo fenomeno, ritrovare quell’equilibrio, che sembra smarrito dagli anni '80, è sempre più complicato. Pertanto un confronto tra tutti gli attori in gioco non è più rinviabile ed è quanto mai necessario che Stato e parti sociali riescano a convergere verso un nuovo modello di regolazione sociale che sia in grado di tenere insieme crescita economica e sostenibilità sociale.