E’ strano camminare sulla striscia verde che segna il “passaggio pedonale” nel capannone della ex Alstom Power oggi General Electric di Sesto San Giovanni, sotto il carroponte che spicca nel suo giallo brillante, passare accanto ai grandi macchinari ingabbiati in aree delimitate, agli ordinati banchi dal lavoro, agli attrezzi allineati con cura e sentire solo il rumore dei tuoi passi.
E’ strano entrare nella “camera grigia”, dove il rotore sta sdraiato in attesa che nelle sue spire vengano inserite lucenti barre in rame e pensare che quel lungo e inanimato cilindro in acciaio è in grado di produrre energia.
Ti guardi attorno, è tutto “tirato a lustro”, alzi gli occhi verso l’alto soffitto e la prima cosa che ti viene in mente è: che spreco quest’immobilità!
E allora provi a immaginare questo insieme vivo, rumoroso e pulsante come era nel recente passato, prima che General Electric, potente multinazionale americana, acquisisse l’intero settore di Alstom Power, decidesse di “investire nel nostro paese” (beneficiando di ingenti finanziamenti pubblici) e comunicasse la chiusura dello stabilimento di Sesto.
Immagini le macchine in funzione e i lavoratori in attività e continui a pensare: che spreco!
Si, perché questo microcosmo è la rappresentazione plastica di un paese orientato solo a parole verso il futuro, un paese che mentre lancia sonde su Marte permette che venga cancellato quell’intreccio di professionalità, sapere, passione, strutture e macchinari che ci ha permesso di inventare, costruire, esportare prodotti in tutto il mondo (l’ultimo rotore che è uscito dalle mani dei lavoratori di Sesto San Giovanni è il cuore di una centrale elettrica libanese).
Francesco racconta con orgoglio il suo mestiere: “Qualche anno fa, quando sono entrato qui insieme ad altri giovani, ciascuno di noi è stato affiancato da un ‘anziano’, sai di quelli con i baffoni. Erano dei maghi. Ci hanno insegnato a lavorare bene, a essere precisi perché una parte di quello che facciamo è lavoro artigianale, richiede attenzione, assenza di sbavature. Ci sono fasi di lavorazione e movimentazione “pesanti”, ma anche fasi delicate, parti che vanno rifinite con la carta vetrata, la paglietta, ci sono incastri in cui non deve entrare neppure in granello di polvere. Per quello che so io non è mai successo che un nostro pezzo avesse dei problemi. A me non è mai interessato più di tanto andare in trasferta, però mi ci hanno mandato. Sono stato in Inghilterra e ho scoperto che noi siamo bravi, davvero bravi”.
A General Electric non interessa quanto siano bravi questi giovani lavoratori.
Sono passati undici mesi dal momento dell’acquisizione e nove dall’inizio della vertenza e delle mobilitazioni quando, il 26 settembre al ministero dello sviluppo economico, GE comunica al mondo il suo assoluto disinteresse non solo per quello che chiedono lavoratori e sindacato ma anche per ciò che pensano i rappresentanti delle istituzioni locali (a partire dal Comune di Sesto che fin da subito si è speso a favore del mantenimento in attività dello stabilimento e per la salvaguardia dell’occupazione) e il Vice Ministro.
“Egregio Signor…. La informiamo che la procedura di licenziamento collettivo avviata dalla scrivente (…) si è conclusa con un mancato accordo sindacale. La società provvederà dunque a cessare il rapporto di lavoro con i lavoratori dichiarati in esubero (…). Ella risulta inclusa tra i lavoratori individuati quali destinatari del provvedimento di recesso. Le comunichiamo, pertanto, il recesso del rapporto di lavoro con effetto immediato, con esonero dal prestare servizio nel periodo di preavviso. (…) Distinti saluti”.
Martedì 27 settembre i lavoratori decidono di trasformare il presidio fuori dai cancelli in assemblea permanente all’interno dell’azienda e di proseguire le iniziative nelle strade e nelle piazze di Milano.
Il 10 ottobre alla nuova Fiera (dove un tempo sorgeva l’Alfa Romeo) si svolge l’assemblea annuale di Assolombarda: slogan, “far volare Milano”, ospite d’onore Matteo Renzi che ha “sempre visto in questa città il punto di riferimento avanzato per chi vuole investire sul futuro”.
In sala, a spellarsi le mani a ogni accenno a modernità, velocità, innovazione, domani, c’è la “creme” degli imprenditori. Fuori ci sono le lavoratrici e i lavoratori di GE.
C’è uno scarto tra la Milano descritta “dentro” e quello che si vive nella realtà.
E la prima cosa che ti viene in mente è: ma con cosa pensano di illuminare il futuro? Con cosa pensano di “far girare” il domani? Possibile che in questa assise di “capitani coraggiosi” non ci sia nessuno intenzionato a investire nel settore dell’energia e a riportare al lavoro chi sa produrre i pezzo fondamentale di una centrale elettrica? Possibile siano tanto miopi?
Il presidio continua, continuano le iniziative in città, perché una cosa dà molta noia ai vertici di GE: la cattiva pubblicità.
E allora avanti. Grazie agli studenti, che hanno chiesto ai lavoratori di aprire il loro corteo contro la “buona scuola”, il grande striscione che recita: “General Electric prende i soldi pubblici e licenzia” attraversa Milano per poi fermarsi sul sagrato del Duomo. Diego sorride: “E vai che finiamo pure sulle pagine facebook dei giapponesi…”.
Negli altri stabilimenti del gruppo in giro per l’Italia i lavoratori si esprimono e si mobilitano al fianco degli operai di Sesto: scrivono a ministri e rappresentanti delle istituzioni, non perdono occasione per chiedere conto di quello che sta accadendo a Sesto.
Ma come, quelli che non hanno problemi si interrogano, ci interrogano, scioperano?
Certo non devono intendersene molto di solidarietà i vertici di GE e pure con il buon gusto non hanno grande confidenza. Tant’è che il 27 ottobre, mentre i lavoratori “festeggiano” un mese di turni giorno e notte al presidio, la multinazionale decide di festeggiare proprio a Milano il “GE Power Anniversary”.
Con un’immagine degna di Guerre Stellari, GE invita “I cari colleghi e colleghe ad assistere alla presentazione live dell’all employees broadcast, in diretta da Boden e da Greenville. Sarà l’occasione per ascoltare le testimonianze di colleghi e leader sui traguardi e le esperienze di questo primo anno e per condividere i nostri piani per il futuro”. Wow! Da Via Melchiorre Gioia, sede centrale della multinazionale e luogo dell’evento, parte un coro “E la torta chi la paga?”.
Siamo a novembre, la temperatura cala, fuori fa freddo e all’interno dell’immenso capannone è peggio ancora.
In un angolo ora c’è una sorta di grande bolla in plastica trasparente: un’isola di tepore, il cuore del presidio. Lì dentro tra il lungo tavolo, il frigorifero e la dispensa, si intrecciano pubblico e privato. Ci sono i turni da sistemare, le prossime “uscite” da organizzare ma anche i ricordi e le esperienze personali che vengono condivise. Lì dentro c’è un collettivo coeso, disciplinato, determinato a resistere a oltranza.
Domenica 6 novembre: è sera e c’è pure Rosario Rappa della segreteria nazionale Fiom, Roberta ha fatto la pasta con il ragù e maccheroni al sugo (mica tutti mangiano la carne). Alla fine c’è il the, non quello fatto con le bustine ma “il miglior the del reame”, servito in bicchieri di vetro intarsiati posati sul vassoio in acciaio lavorato.
“Allora quando andiamo davanti a Palazzo Marino? Il sindaco di Milano, che è pure presidente dell’area metropolitana, ha dichiarato che ci avrebbe incontrato, ma è già passata una settimana….”.
A nove mesi dall’inizio della vertenza, più di 40 giorni dopo la decisione di presidiare giorno e notte lo stabilimento, la lotta continua. Dentro e oltre la fabbrica.
“Quando non c’è energia non c’è colore, non c’è forma, non c’è vita.”
(Caravaggio)