Lunedì, 25 Novembre 2024

ZOOM. Articoli e commenti

Ddl Sacconi-Fucksia, il Jobs Act della sicurezza sul lavoro

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Da gennaio a giugno 2016 sono 461 le persone che hanno perso la vita sul lavoro in Italia: 341 gli infortuni mortali rilevati in occasione di lavoro e 120 quelli in itinere. Un numero drammatico che si traduce in una tragica media di 77 vittime al mese, ossia 19 alla settimana.

Tra le Regioni l’Emilia Romagna con 44 infortuni mortali rilevati in occasione di lavoro nei primi sei mesi del 2016, si mantiene in prima posizione, superando il Veneto che si localizza al secondo posto (35 vittime). Al terzo posto scende invece la Lombardia che registra 33 infortuni mortali.

Il settore economico che registra il maggior numero di vittime (42 pari al 12,3% del totale dei casi di morte in occasione di lavoro) è rappresentato dalle Attività Manifatturiere. Si posizionano al secondo posto le Costruzioni con 41 decessi (pari al 12 % del totale). Gli stranieri deceduti sul lavoro nel primo semestre 2016 sono 47 (il 13,8 per cento del totale) e le donne 23. La fascia d’età più colpita – che costituisce il 34,9 per cento di tutte le morti rilevate in occasione di lavoro – è sempre quella compresa tra i 45 e i 54 anni. Ma l’incidenza più elevata della mortalità rispetto alla popolazione lavorativa coinvolge come sempre gli ultra-sessantacinquenni.

Sono i lavoratori anziani, in particolare nel settore delle costruzioni a morire per cadute dai ponteggi e gli agricoltori a rimanere schiacciati sotto vecchi trattori senza roll bar. Danno il loro contributo di sangue e di anni di vita perduti i lavoratori stranieri (13,8% del totale dei lavoratori deceduti a causa di incidenti sul lavoro).

Queste tragedie non hanno come causa determinante la mancanza di norme specifiche in materia di valutazione e gestione dei rischi.

 

Disrupting sociale, effetto collaterale delle riforme Foernero e del Jobs Act

Il d.lgs 81/2008 e s.m.i per quanto farraginoso è esauriente e il rispetto delle procedure e delle prescrizioni in esso contenute potrebbe per davvero ridurre il fenomeno infortunistico in misura rilevante.

Il problema di fondo riguarda il contesto normativo che è stato introdotto dopo il 2011. Mi riferisco in particolare alla riforma previdenziale Fornero che ha “bloccato” in attività lavorative pesanti e rischiose migliaia di lavoratori anziani non più in grado di reggere le fatiche del cantiere, i lavori in agricoltura, nella logistica e nei trasporti.

Il combinato disposto riforma Fornero e il successivo Jobs Act stanno producendo un effetto corrosivo sulla capacità di partecipazione attiva dei lavoratori per autotutelarsi.

La facilità con la quale si può essere licenziati e/o le altre pratiche di ritorsione delle direzioni aziendali , divenute legittime come il demansionamento, stanno trasformando i molte realtà i lavoratori e le lavoratrici in soggetti silenti che hanno crescenti difficoltà ad opporsi a condizioni di lavoro insicure o disagiate.

Le norme del Jobs Act hanno prodotto forme di disrupting sociale e ridotto il potere di coalizione dei lavoratori per autotutelarsi.

Il Jobs Act ha in sè un forte potenziale di disrupting sociale che si sta già manifestando con la moltiplicazione dei licenziamenti "economici" dei lavoratori sopra i cinquanta anni, ben lontani dalla pensione, destinati ad entrare nella fitta schiera delle persone che difficilmente potranno trovare un altro lavoro...

Esiste un fenomeno anch'esso non immediatamente visibile che le pratiche dirette di disrupting sociale e le politiche subalterne dei governi ai poteri forti dell'economia stanno producendo a livello profondo nei comportamenti delle persone: quello dell'adattamento passivo all'obbedienza ai forti, alla perdita da parte di molti lavoratori e lavoratrici della cognizione di essere cittadini portatori di diritti fondamentali. Questo è il male oscuro che depotenzia la volontà e la capacità di partecipazione mettendo in grave crisi la democrazia: il crescente astensionismo elettorale è un indicatore palese di questo profondo malessere e sfiducia rispetto al ruolo della politica come strumento di riscatto e di affermazione dei propri diritti.

Tutto questo ha elevatissimi costi sociali: un patrimonio enorme di potenzialità umane viene dissipato, ai giovani viene prospettato non un futuro da cittadini protagonisti ma da precari assistiti, male.

In questo contesto anche i problemi della salute e sicurezza nel lavoro a fronte del rischio di ritorsioni se ci si espone a denunciare situazioni di irregolarità o di mala organizzazione del lavoro, in diverse realtà, vengono posti in secondo piano.

Le aziende strutturate di medie e gradi dimensioni hanno appreso in questi anni ad utilizzare i benefici economici derivanti dalla applicazione delle norme, dalla partecipazione ai click days promossi da Inail e hanno ridotto in modo significativo la frequenza di incidenti gravi e mortali.

I problemi persistono nelle piccole imprese ove la sopravvivenza rispetto alla crisi ha comportato il taglio di molte spese, ivi comprese quelle riguardanti la sicurezza.

Sono le imprese individuali, le cosi dette “false partite iva” che si trovano a competere con l'acquisizione di appalti al massimo ribasso che pagano il prezzo più grande in termini di incidenti sul lavoro. Sempre con maggiore frequenza in questi anni è capitato di leggere nelle cronache che la persona asfissiata mentre saldava all'interno di un serbatoio non bonificato o precipitata dall'alto mentre stava eseguendo una bonifica di un tetto eternit era un lavoratore autonomo.

Nella galassia delle oltre quaranta forme di titolarità dei rapporti di lavoro che il Jobs Act non ha modificato sono molti i lavoratori e le lavoratrici che operano in condizioni di rischio elevato sia per la sicurezza sia per la salute. Nelle filiere produttive l'azienda grande o media esternalizza lavori di manutenzione a micro imprese composte da due o tre lavoratori autonomi che spesso operano in assenza di una programmazione preventiva dei lavori: la valutazione e gestione dei rischi rimane chiusa nei cassetti della stazione appaltante a disposizione di una eventuale ispezione della Asl, ma coloro che operano al fronte in rapporto diretto con il rischio raramente vengono informati con precisione sui rischi per la salute e per la sicurezza cui saranno esposti.

A questa prima trasformazione normativa si aggiunge il disegno governativo che ha come obiettivo l'estinzione dell'istituto del Contratto Nazionale di Lavoro. La fine del Contratto nazionale moltiplicherà ulteriormente le diseguaglianze estendendo le condizioni di lavoro servile: orari di lavoro, diritti contenuti nelle parti normative quali permessi di studio saranno resi subalterni ad una concezione rozza e primitiva del concetto di produttività. La contrattazione di secondo livello deprivata dei riferimenti delle parti normative dei Ccnl farà arretrare le condizioni di lavoro in particolare nelle Pmi.

Queste considerazioni vengono sia da una lunga esperienza personale di rapporto con i lavoratori sia da una analisi delle notizie d'infortunio che si possono trovare sui media, sui siti specialistici, sulle sentenze penali che seguono le indagini sull'evento infortunistico.

 

La territorializzazione dell'informazione sugli infortuni e sulle malattie professionali

Un altro aspetto sul quale riflettere è la scomparsa dalle cronache nazionali dei quotidiani e dai media in genere delle notizie riguardanti gli incidenti sul lavoro.

Gli eventi infortunistici gravi e mortali sono relegati nelle ultime notizie delle pagine locali con la stesso format delle notizie riguardanti gli incidenti stradali. La tecnica della banalizzazione di questi eventi ha fatto scomparire dalla scena delle priorità nazionali la questione salute e sicurezza sul lavoro.

E' verosimile pensare che molti direttori dei quotidiani e dei media abbiano operato un adattamento calcolato dei palinsesti per declassare le questioni del lavoro, del diritto alla salute e alla sicurezza nel lavoro a banali brevi articoli di cronaca locale, per non turbare la fantasiosa narrazione del governo sulle magnifiche sorti progressive del Jobs Act .

A questa scelta di “declassare” rispetto ad altre epoche la questione sicurezza sul lavoro nei media si congiunge lo sbarramento rispetto alla istituzione del Sinp, Servizio Informazione Nazionale sulla Prevenzione che doveva essere istituito dal 2008 , ovvero a 180 giorni dalla data dell'entrata in vigore del d.lgs 81.5

Lo strumento per le informazioni di governo necessarie per gestire da parte delle istituzioni, delle imprese le priorità in materia di prevenzione era il Sinp, la cui attuazione pare rinviata sine die, ovvero a mai.

Non vogliamo affrontare le ragioni per cui il Sinp non è stato attuato: occorrerebbe immergersi nei meandri della burocrazia ministeriale e nei sottosistemi di potere dell'Inail per scoprire le vere ragioni perchè dopo sette anni dall'entrata in vigore del d.lgs. 81/08 il Sinp rimane sulla carta.

Si può affermare con un rischio molto basso di essere smentiti che il Sinp non nascerà mai perchè le Associazioni datoriali non sono interessate all'attività di un Ente che raccogliendo e ordinando le informazioni con la pubblicazione di Report pubblici sullo stato dell'arte potrebbe mettere in luce gravi responsabilità sui ritardi nelle politiche di prevenzione, nella valutazione e gestione dei rischi.

Le stesse organizzazioni sindacali indebolite dalle divisioni e dalla mancanza di una strategia adeguata a fare fronte ai problemi della salute e sicurezza sul lavoro non hanno fatto dell'attuazione del Sinp l'obiettivo di una battaglia sindacale.

 

Il declino delle regioni

Voglio ricordare che quanto si è fatto di positivo nei quattro decenni da quando sono state istituite le Regioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro è stato fondamentale per la costruzione di una rete di Servizi per la prevenzione e di un'esperienza partecipata dagli anni 70 ad oggi molto importante.

Alcune regioni del centro-nord hanno investito molte risorse sia per la formazione degli operatori sia per la messa in opera di servizi che hanno sviluppato reti e pratiche di prevenzione efficace.

Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Lombardia Piemonte, Liguria, Marche, Puglia fino al Lazio hanno dato molto fino ai primi anni dopo il 2000 facendo della salute e della sicurezza nel lavoro un tema importante dei governi regionali.

Altre Regioni sono state assenteiste, non hanno costruito la rete dei Servizi territoriali non hanno svolto alcun ruolo guida , sono state un buco nero rispetto a questa tematica, non le nominiamo perchè sono note a chi si occupa da tempo della tematica.

La Riforma del Titolo V° della Costituzione all'inizio degli anni duemila non ha rappresentato uno stimolo per il miglioramento, in diverse realtà invece di utilizzare la legislazione concorrente come competizione per migliorare le norme dello stato centrale si è giocato di rimessa, si è utilizzata la potestà della legislazione concorrente per ridurre vincoli e impegni delle imprese nella gestione della sicurezza o non si è utilizzata affatto questa opportunità per migliorare le norme nazionali.

Voglio ricordare che alcune regioni hanno bene utilizzato la legislazione concorrente per settori particolari esistenti nel loro territorio, ad esempio la Toscana e l'Emilia Romagna hanno predisposto linee guida per i lavori in galleria dell'alta velocità che hanno evitato incidenti e morti. Altre regioni come il Veneto sono intervenute su macchine agricole, uso dei pesticidi, ecc.

La spinta propulsiva del ruolo delle regioni si spegne lentamente con le trasformazioni delle rappresentanze politiche: da quando i lavoratori dipendenti in particolare dei settori manifatturieri non sono più il riferimento importante dell'ultima formazione politica che ha occupato lo spazio politico che prima era del Partito comunista, il Partito democratico, la questione salute e sicurezza nel lavoro scompare dalle agende di molti assessorati alla sanità regionali.

Fino al termine dei governi a guida Berlusconi il ruolo di alcune regioni rispetto alla materia che trattiamo è stato quello di contrastare alcuni tentativi di deregulation dal 2002 in poi fino al contributo importante nella elaborazione del D.lgs 81/08.

Questa attività importante delle regioni che si erano impegnate ad attuare la rete dei servizi si affievolisce mano mano in ragione del cambio di priorità nelle agende politiche per la scelta di dare maggiore ascolto alle richieste delle associazioni datoriali.

In questo ultimi due anni l'attesa del trasferimento delle competenze in materia di salute e sicurezza allo Stato in ragione delle modifiche del Titolo V° della Costituzione e della istituzione di un Ente centralizzato preposto alla vigilanza (l'Agenzia) hanno portato alla passività molte regioni.

La presenza dell'istituzione regione sulla tematica salute e sicurezza nel lavoro è pertanto in progressivo declino da quando è iniziata la crisi.

Le aziende Asl in molte realtà vedono i Servizi di Prevenzione Salute Sicurezza Lavoro come un corpo estraneo e/o generatore di conflitti con il sistema delle imprese, pertanto non esiste da parte dei dirigenti delle Asl una particolare volontà di sviluppare questi servizi.

E' da questo ingorgo istituzionale che occorrerebbe uscire con un disegno serio di riordino dei servizi territoriali di prevenzione per consolidare a livello territoriale i nodi della rete di un sistema di prevenzione integrato nel Ssn.

Diversamente si rischia che una straordinaria esperienza territoriale venga sostituita da un sistema verticale burocratico denominato “agenzia” ingessato e dipendente dalle volontà del ministro del lavoro di turno senza che vi sia un controllo sociale rispetto all'operato di questo entità.

In ogni caso non può continuare ancora per troppo tempo “la sospensione” nella terra di nessuno delle competenze in materia di salute e sicurezza nel lavoro, occorre che si pervenga ad un percorso strutturato che definisca in modo certo il sistema istituzionale, le responsabilità e le competenze.

 

Le trasformazioni del lavoro: profili di rischio e strategie di prevenzione da costruire

Le trasformazioni delle forme organizzative, giuridiche e materiali del lavoro che sono avvenute nel corso degli ultimi dieci anni sono straordinarie.

I processi di automazione del trattamento delle informazioni gestionali dei sistemi produttivi, della logistica, nei sistemi finanziari sono stati e sono oggetto di studi raffinati, ragion per cui non intendiamo affrontali in questa sede.

In sintesi si può dire che il lavoro degli umani si è trasformato radicalmente in molti settori e i profili di rischio stanno radicalmente cambiando per molti lavori e nel contempo molti lavori sono destinati a trasformarsi o a scomparire.

Ciò che cambia in profondità per gli umani che per lavorare comunicano e/o si affidano a complessi algoritmi per svolgere il proprio lavoro è la perdita del governo del tempo e, a volte, lo smarrimento del significato del proprio lavoro.

Le forme di assistenza digitale in uso, ad esempio, nel settore finanziario e creditizio rispetto alle decisioni da prendere stanno svuotando il lavoro dei funzionari addetti alla erogazione di crediti o mutui.

Nel settore dei trasporti i sistemi di geo localizzazione satellitare stanno trasformando il lavoro degli autisti che si vedono riprogrammare percorsi, tappe di carico e tempi in tempo reale: il loro governo del tempo viene ridotto ai minimi termini. Sanno quando partono ma non quando ritorneranno in sede..

Questo è il nuovo ambito su cui è necessario che si faccia ricerca per definire i profili di rischio di queste nuove modalità di lavoro.

A fianco del lavoro qualificato sempre più raro, sempre più esigente di competenze professionali che peraltro hanno un ciclo di vita sempre più breve, permangono e in qualche misura si espandono i lavori basati sulla fisicità, sulla fatica fisica sulla esposizione ai classici fattori di rischio tradizionali: rumore, gas fumi, polveri, microclima che procura disagio, movimentazione carichi.

La differenza rispetto al passato riguarda il fatto che questi lavori sono svolti da lavoratori e lavoratrici stranieri in condizioni di precariato, senza tutele e contratti, pagati in parte con voucher e in parte in nero.

Nella galassia dei lavori di servizio della ristorazione,dei servizi alle persone, del pulimento si trovano situazioni diffuse di precariato e di lavoro nero. Sono queste le realtà in cui le persone lavorano assai spesso senza adeguati dispositivi di protezione individuali (Dpi) senza le informazioni e la formazione sull'utilizzo in sicurezza sulle sostanze impiegate ad esempio nei lavori di pulimento.

In buona sostanza chi si occupa professionalmente di prevenzione, salute e sicurezza nel lavoro dovrà fronteggiare profili di rischio derivanti da sovraccarico cognitivo e stress che sono propri e saranno sempre più diffusi in coloro che lavorano nei settori avanzati dell'industria 4.0 e situazioni di lavoro con profili di rischio molto materiali nei settori della ristorazione, del commercio, dei servizi alle persone, pulimento ove operano lavoratori con contratti di lavoro precari e temporanei.

Mentre nelle aziende dei settori pregiati si registra una capacità di valutazione e gestione dei rischi di qualità è desolante invece la situazione delle imprese che producono servizi e prodotti a basso valore aggiunto ove nella maggioranza dei casi le imprese pagano consulenti per costruire un'apparenza di adempimento di quanto prevedono le norme in materia.

L'aggiornamento dei profili di rischio dovrebbe essere una pratica di ricerca continua da parte del Dipartimento Ricerca dell'Inail.

Nei prossimi anni le trasformazioni del mercato del lavoro e le compresenze di settori ad elevata tecnologia organizzative e produttive (industria 4.0) con settori ad elevata intensità di sfruttamento e precarizzati comporterà strategie molto differenziate di prevenzione.

Dalle documentazioni ufficiali non pare siano state prese decisioni di svolgere ricerca e sviluppo in questa direzione.

 

Semplificazioni dal livello europeo fino al DdL Sacconi-Fucksia

Cosa ci attende il prossimo futuro? Per quanto attiene le norme e l'intervento della Pubblica amministrazione nella relazione tra impresa e lavoratori come garante, tramite la vigilanza e le ispezioni, della corretta valutazione e gestione dei rischi siamo a fronte di una regressione che parte dal livello della Commissione europea e arrva alle pratiche correnti in materia svolte dal ministero del lavoro. La parola d'ordine della semplificazione è partita da tempo, già dalla presidenza della Commissione Barroso. La Commissione europea a presidenza Barroso quando lanciò il processo di semplificazione normativa registrò un certo consenso non solo tra le associazioni imprenditoriali: si pensava ad una ragionevole “pulizia” degli aspetti ridondanti e superflui delle direttive. Nel corso degli anni si è visto invece un utilizzo del processo di semplificazione per altri scopi politici: la deregulation delle norme di tutela dell'ambiente e della salute e sicurezza dei lavoratori.

Il processo di semplificazione della legislazione europea è stato preso in ostaggio dagli interessi privati del mondo degli affari. Questo è quanto si afferma nelle conclusioni di un nuovo rapporto pubblicato dall'Istituto sindacale europeo. Dopo dieci anni durante i quali la Ue si è impegnata per la semplificazione della legislazione, da "legiferare meglio", alla "regolazione intelligente" fino al Progetto Refit il vero risultato non è stata la semplificazione "intelligente" peraltro auspicabile , ma una pratica reale di blocco e di mancato aggiornamento delle direttive europee in materia di ambiente, salute e sicurezza sul lavoro.

Un esempio chiaro riguarda la proposta di modifica della Direttiva cancerogeni, parziale eincompleta rispetto alle più recenti conoscenze scientifiche che perviene alla consultazione delle parti sociali dopo anni di ritardo. Il rapporto di Etui (Istituto di Studi e Ricerche della Confederazione dei Sindacati Europei) illustra con chiarezza il percorso in negativo o a ritroso della Commissione europea rispetto ai diritti dei lavoratori che vengono posti nella scala della priorità al terzo posto , dopo le imprese e i consumatori.

Ritardi analoghi nelle proposte di modifica delle Direttive europee in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori ve ne sono molti, ad esempio per quanto attiene la prevenzione dei disturbi muscolo scheletrici nelle lavorazioni seriali.

A moltiplicare gli effetti negativi sulle condizioni di lavoro vi è poi quel corredo di norme che fa riferimento alla Direttiva Bolkenstein che consente alle imprese italiane di aprire presso alcuni paesi della Ue pseudo imprese che sono soltanto recapiti legali , imprese fasulle che non svolgono attività economiche ma che servono a trasformare il contratto di lavoro di un camionista italiano , ad esempio, in un contratto rumeno con orari capestro, salario dimezzato.

L'ideologia neoliberista che sta alla base di queste direttive sta portando su posizioni contrarie al progetto europeo vasti settori di lavoratori dipendenti che ravvisano nelle politiche di austerity e di attacco dei diritti dei lavoratori una minaccia incombente non più tollerabile. Nei fatti la Ue con le norme che afferiscono alla Direttiva Bolkenstein ha introdotto nel mercato del lavoro europeo il dumping sociale, la concorrenza basata sulla eliminazione dei diritti dei lavoratori. A livello nazionale le politiche governative, come abbiamo visto, procedono nella stessa direzione.

Le cosìdette “riforme” non sono altro che allineamenti della legislazione nazionale con quella europea, dal Jobs Act che rende legittima la precarietà a vita al progetto di “superamento” dei Ccnl che vengono individuati come un impedimento alla crescita economica.

Appare evidente che queste strategie che hanno come scopo l'indebolimento delle coalizzazioni (leggi organizzazioni sindacali) degli interessi dei lavoratori dipendenti stanno alimentando un clima di avversione alle istituzioni europee, istituzioni sacrificate agli interessi forti delle grandi compagnie multinazionali e della speculazione finanziaria.

In questo contesto e all'interno di queste dinamiche tese a ridurre i diritti dei lavoratori non poteva mancare l'iniziativa dell'ex ministro del lavoro Sacconi che in collaborazione con la senatrice Fucksia ha elaborato un DdL contenente modifiche al Dlgs 81/2008 che in modo beffardo vengono definite “disposizioni per il miglioramento sostanziale della salute e sicurezza dei lavoratori”.

Il DdL Sacconi Fucksia, per come è scritto e per il pressapochismo che lo distingue non dovrebbe arrivare neppure in Commissione, dovrebbe finire in archivio, utile ai cultori della materia come esempio in negativo di come non si deve fare una norma.

Il DdL consta di 22 articoli e 5 allegati il cui contenuto è in parte ricopiatura di parti della Direttiva quadro 391/89 . L'intento reale del DdL è quello di dare una picconata al Dlgs 81/08 e smi sulle parti più pregiate. Riportiamo in forma sintetica contenuti più negativi del DdL:

1) La definizione di lavoratore vigente viene stravolta per ridurre ancora di più le tutele dei lavoratori “atipici” . La tutela è per la “persona impiegata in modo non episodico per attività di lavoro” . Nella norma attuale la tutela è universale a prescindere dalla durata e dalla tipologia del rapporto di lavoro in essere. Nei fatti Sacconi pare escludere la vasta area dei lavoratori che vengono pagati con i voucher da qualsiasi tutela.

2) Trasferimento delle responsabilità rispetto alla qualità della valutazione e gestione dei rischi dal datore di lavoro demandando a medici del lavoro e altri professionisti di riferimento il compito e l’onere di certificare la regolarità delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. Il datore di lavoro viene sollevato dalla responsabilità anche penale demandando a medici del lavoro e altri professionisti di riferimento il compito e l’onere di certificare la regolarità delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. Il ruolo di questi professionisti sarebbe di supporto alla funzione pubblica di vigilanza, che verrebbe attivata solamente in caso di certificazioni fraudolente, rese con colpa grave professionale o sottoscrivendo false dichiarazioni.

Peraltro, gli organismi di vigilanza e la magistratura interverrebbero con “disposizioni” esecutive ai datori di lavoro, comunque impugnabili, e solamente in caso di mancato rispetto della disposizione è prevista la sanzione penale (arresto e ammenda).

3) Responsabilità del datore di lavoro: si va ben oltre l'esimenza prevista all'art. 30 del Dlgs 81/08. Nei fatti il datore di lavoro è sempre non responsabile : la responsabilità del datore di lavoro verrebbe configurata come “colpa di organizzazione” che non sussiste se si dimostra di aver posto in essere tutte le misure organizzative idonee rispetto alle esigenze di tutela dei lavoratori. La responsabilità penale del datore di lavoro viene meno in caso di infortunio che sia derivato da grave negligenza del dirigente, del preposto o del lavoratore. La proiezione della responsabilità viene proiettata verso il basso, verso quadri e preposti e infine verso i lavoratori per i quali vengono incrementate le sanzioni penali.

4) Qualora successivamente alla “certificazione” si dovessero verificare danni per la salute dei lavoratori (infortuni o malattie professionali) a causa di carenze nelle misure di sicurezza, il professionista che ha certificato la idoneità delle condizioni lavorative dovrebbe essere ritenuto corresponsabile dell’evento in sede civile e penale.

Quanti sono gli attuali professionisti in grado di sostenere questa responsabilità a livello economico e assicurativo? E' verosimile immaginare il seguente scenario: i consulenti “responsabilizzati” in solido e in sostituzione del datore di lavoro adotteranno forme di autotutela con le pratiche difensive ben note nel campo della “medicina difensiva”, moltiplicazione delle analisi ambientali, iperprescrizioni di misure preventive superflue, alti costi delle certificazioni....

5) Il DdL prevede anche una discutibile forma di recepimento delle Direttive europee in materia di salute e sicurezza sul lavoro: il DdL prevede che il loro recepimento debba essere limitato al solo rispetto dei lvelli inderogabili di tutela indicati nelle direttive mentre dalla legislazione vigente verranno eliminati tutti i livelli di regolazione ritenuti superflui o sovrabbondanti. Saremo veramente curiosi di vedere quali siano i livelli di regolazione/protezione ritenuti superflui o sovrabbondanti dai Senatori Sacconi e Fucksia.

Mi fermo qui perchè il DdL Sacconi Fucksia richiede una valutazione comparata assai complessa che richiederà le competenze di giuristi delle diverse specializzazioni, tanti sono gli strappi che la sua approvazione introdurrebbe rispetto al Codice Penale e Civile. Ciò che rimane non spiegabile tuttavia rimane la vis destruens che anima i proponenti rispetto ai livelli già scarsi di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Non è nostro mestiere scrutare le profondità delle anime, tuttavia tanto zelo contro i lavoratori ci inquieta e al contempo ci incuriosisce.

Ribadisco il concetto tuttavia che questo DdL per le sue incongruenze e superficialità non dovrebbe arrivare neppure in Commissione. Non sappiamo tuttavia se questo elaborato sia il frutto di una iniziativa estemporanea dei Senatori firmatari o sia invece un'azione concertata, un ballon d'essai per attivare l'iniziativa di deregulation del governo sull'insieme della tematica salute e sicurezza nel lavoro.

In questo senso la presentazione di questo DdL diviene immediatamente un banco di prova per il governo Renzi. Le scelte possibili del governo vanno dalla condivisione del DdL Sacconi Fucksia alla decisione di intraprendere un autonomo percorso di manutenzione e aggiustamento del Dlgs 81/08 e s.m.i . Vedremo quale sarà la scelta, in ogni caso “nessun dorma” (mi riferisco al sindacato) poiché la traiettoria rimane la stessa, la riduzione ai minimi termini dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici a tutelare la propria incolumità fisica e la propria salute nel lavoro.

 

*Diario per la Prevenzione

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La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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