Una carovana di base. Una marcia “di popolo”. Un viaggio in comune. Un’esperienza letteralmente straordinaria, che parla di alternative possibili e di auto-organizzazione e che insieme dimostra come l’«altra Europa» può solo stare dalla parte dei migranti.
Idomeni, sul limbo fra Grecia e Macedonia, era la mèta della “missione umanitaria” di circa 300 attivisti d’ogni tipo di #overthefortness. Molti erano presenti in estate sulla rotta dei Balcani. Altri parteciperanno alla manifestazione del Brennero davanti al nuovo confine blindato.
Idomeni pochi mesi fa era così. E all’arrivo questo era lo scenario. Nel campo principale – che si snoda dai binari della ferrovia fino al piccolo bosco, dai grandi tendoni di Medici Senza Frontiere fino ai piedi del piccolo paese – le ultime statistiche Unhcr contabilizzano 11.324 persone (su 51.430 presenti in tutte le strutture di accoglienza dell’intera Grecia). Più del 60% sono donne, bambini e minori non sempre insieme al resto della loro famiglia. In sostanza, metà della “popolazione” arriva dalla Siria con una nutrita presenza di migranti curdi e dell’Afghanistan, ma anche in arrivo da Pakistan e Iraq.
Idomeni è un vero e proprio inferno. È la succursale di Damasco o Aleppo, ma anche di Baghdad, Kabul, Kobane. Da lontano, sembrerebbe un enorme, gigantesco e sconfinato camping. Dentro, esplode nel pandemonio quotidiano della sopravvivenza. Di fatto, Idomeni è il lager a cielo aperto del Duemila. L’inferno dell’Europa senza memoria, coscienza, vergogna.
La carovana italiana ha rappresentato una significativa parentesi, perfino al di là della distribuzione degli aiuti materiali. Idomeni è il binario morto di Bruxelles e lo spettro di un esodo altrettanto biblico che preme alle porte. Buco nero dei diritti umani non negoziabili, missione impossibile di centinaia di volontari internazionali, specchio aggiornato di guerre e terrorismi. Una bolgia maledetta.
Il gorgo di Idomeni restituisce souvenir da scandalo. Poliziotti in assetto di guerra scattano selfies con i profughi ammassati al confine della Macedonia. Disabili in carrozzina, bambini soli, mutilati di guerra con un tubo al posto della protesi che vagano nella tendopoli. Un gruppo assalta il camion con i viveri rimasto isolato; altri uomini con le corde recuperano pigne e spezzano rami dagli alberi; nelle stalle dell’ormai ex centro veterinario si rassetta il tappeto di paglia davanti alla “casa” in poliestere formato igloo.
“In campo” #overthefortness ha messo in gioco un po’ di tutto: il team legale con la verifica pratica del corso di formazione di Roma; lo sport antirazzista del Nord Est e la cooperazione del Lazio; solidarietà capitale e nuovo tour dei diritti. Con tante altre tessere di un mosaico solidale che da Brescia a Taranto, da Trieste a Parma, dalla Sicilia a Venezia, dal Nord Europa alle Marche ha dimostrato l’altro modo di essere europei rispetto alla fortezza dei palazzi di potere a Bruxelles o Francoforte.
E fino all’ultimo il gruppo degli “artigiani” della carovana sono rimasti nel cuore del campo profughi di Idomeni. Ha lavorato per illuminare finalmente l’area di fronte ai bagni chimici, garantire un po’ più di elettricità e “saponette” wi fi, regalare un generatore alla tenda infopoint, montare il gazebo anche a beneficio dei bambini. Contemporaneamente davanti alla prefettura di Salonicco sono arrivate le altre pettorine arancioni della carovana. Con la rete studentesca Antarsya e i migranti dell’orfanatrofio occupato di Salonicco hanno richiamato l’attenzione sulle conseguenze del recente accordo fra Unione europea, Grecia e Turchia. Poi in corteo attraverso la città.
È un viaggio che sarà difficile dimenticare, soprattutto perché non si lascia ingabbiare dagli schemi “politici” né liquidare dalla banale disinformazione mainstream. Ciascuno ha riportato in Italia ciò che ha visto di persona, toccato con mano e ascoltato senza guardare uno schermo al plasma.
La carovana #overthefortness è stata anche il “miracolo” di un’organizzazione tutta femminile: Barbara, Stella, Valentina hanno pianificato e gestito quest’esperienza davvero straordinaria.
Ora tutti sono impegnati a testimoniare quel che hanno imparato a Idomeni: un’eco che va amplificata con ogni mezzo.
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