Domenica, 01 Dicembre 2024

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In Palestina l'occupazione affoga la disperazione nel sangue

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Gli scontri che stanno insanguinando Israele e i territori occupati possono apparire agli occhi dell'opinione pubblica internazionale come la continuazione degli attacchi del fondamentalismo islamico all'occidente. Conviene ricordarlo quando ci occupiamo del quadro Medio orientale, perché ciò che è successo negli ultimi anni è stato vissuto in forma molto distorta dall'opinione pubblica occidentale. Vale la pena ricordare anche che i fanatici dell'Isis commettono crimini orribili ma essi sono nati nel terreno fertile della invasione americana dell'Iraq: a partire dal 2003 la guerra iniziata da Bush e dai suoi complici ha creato il caos in Iraq. Era volta ad assicurare essenzialmente gli interessi economici americani, cercava di mettere in scacco l'Iran ed era il preludio per l'appoggio a vari gruppi che in Siria si oppongono al regime di Assad, cosa che si accentuò con la primavera araba del 2011. Varrebbe pure la pena ricordare che già in passato gli americani appoggiarono i gruppi fondamentalisti islamici per cacciare i soldati dell'allora Unione Sovietica dall'Afghanistan. E che poi uno dei quegli entusiasti attivisti, Bin Laden, si sarebbe attribuito il tragico attacco negli Stati Uniti del 2001.

Con tutto questo alle spalle non sorprende che in molti vedano in quello che sta succedendo in Israele una prosecuzione del terrorismo islamico. Nelle ultime due settimane il fenomeno del “terrorista individuale” si è trasformato nell'incubo dei servizi segreti, della polizia e l'esercito israeliani.

Giovani palestinesi - molto giovani, alcuni sono ragazzi di 13 o 15 anni - decidono di accoltellare qualche israeliano o usano la propria auto per investire dei pedoni. In generale non sono affiliati ad alcuna organizzazione, né pianificano ciò che fanno con gruppi o amici e per questo è praticamente impossibile prevenire le loro azioni, perché solo quando si tratta di gruppi organizzati si possono intercettare telefoni o messaggi elettronici o il passaggio di esplosivi o armi da fuoco.

Ora siamo invece di fronte a giovani disperati che non credono più alla promessa della leadership politica o dei loro genitori o maestri o delle generazioni precedenti e sono convinti che debbono volgere la loro disperazione in un semplice atto: uccidere.

Sorpresa? Il primo ministro israeliano Netanyahu non dovrebbe francamente essere stato preso di sorpresa. Fanatismo religioso? Quasi tutte le manifestazioni anti-israeliane si realizzano sotto la consegna della “necessità di difendere Al Aqsa “ la sacra moschea costruita da centinaia di anni nel luogo nel quale secondo i credenti ebrei sorgeva il Sacro tempio distrutto nel I secolo dell'era cristiana.

In realtà non siamo di fronte a una sorpresa né a fanatismo religioso. Il problema non è il terrore. Il terrore è il prodotto inevitabile - nauseabondo, in alcuni casi criminale e crudele – dell'occupazione dei territori palestinesi.

Dal 1967 Israele occupa i territori in Cisgiordania ed estende gli insediamenti con l'intenzione di annetterli a Israele. In quei territori e a Gaza abitano quattro o cinque milioni di palestinesi sprovvisti di ogni tipo di diritti politici o nazionali. Sotto la pressione costante di una brutale occupazione militare la popolazione palestinese che ha creduto che gli accordi firmati da Arafat nel 1993 avrebbero cambiato la situazione, vede che la situazione non migliora: la violenta oppressione militare continua, la situazione economica e più che precaria e a ciò si unisce la minaccia reale o presunta alla sacra moschea di Al Aqsa.

Il premier Netanyahu blatera continuamente che Israele manterrà lo status quo nella moschea, che consente ai credenti ebrei di accedere al luogo sotto controllo musulmano e della polizia. Ma nell'ultimo anno imperversano le attività di fondamentalisti ebrei che vogliono la ricostruzione del tempio, mentre la continua presenza di ministri e deputati dell'estrema destra israeliana alimenta la tensione. Per questo hanno ragione le autorità musulmane a dubitare delle dichiarazioni del premier israeliano.

Il contenzioso attorno alla moschea di Al Aqsa rappresenta oggi il casus belli dell'escalation del conflitto, ma la sua ragione reale ha ragioni più profonde; questa è una situazione politica in cui è chiaro che la debole dirigenza palestinese, senza un'unità reale - a cui sarebbe necessario giungere come precondizione per reali negoziati - affronta un governo israeliano di estrema destra che non ha nessuna intenzione autentica di arrivare a una pace giusta.

In questa situazione è sbagliato vedere nelle motivazioni religiose o nei coltelli degli attaccanti le radici del problema: il problema continua a essere quello di un'occupazione che offre a cinque milioni di palestinesi solo l'oscuro futuro di una vita senza diritti umani, politici o nazionali. Questo ha creato la disperazione che porta oggi ad attacchi realizzati da giovani coscienti che nella maggioranza dei casi saranno eliminati dalle forze di occupazione o da cittadini ubriachi di una paura che li porta a un razzismo criminale.

La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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