Il 5 febbraio i sindacati europei di IndustriAll manifesteranno a Bruxelles. Tra questi anche la Fiom, insieme con Fim, Uilm e le sigle dei chimici. «Ci siamo spesi molto per questa iniziativa comune – dice il segretario dei metalmeccanici della Cgil Michele De Palma -, la situazione è molto seria. Siamo a un cambio di passo: dobbiamo decidere se vogliamo restare un Paese del G7 oppure no».
Che cosa chiedete all’Europa?
«Chiediamo politiche per rendere l’industria innovativa, competitiva e inclusiva. Per capirci: vogliamo produrre in Europa beni meno costosi, più sostenibili e di qualità migliore rispetto a quelli cinesi e americani, con cui bisogna fare accordi commerciali. C’è molto da fare per recuperare il gap in alcuni settori come l’automotive ma questo deve essere l’obiettivo. Per una ragione economica, ma anche politica: il progetto europeo basato su pace e democrazia è stato costruito sul pilastro di un’industria forte e prospera. Mettere in discussione l’industria vuole dire minarla dalle fondamenta».
Cosa potrebbe fare l’Europa, in pratica?
«Definire una politica che metta al centro la sovranità industriale europea. Prima di tutto la scelta dei settori prioritari su cui investire. Di certo un piano per l’auto, per la siderurgia. Prendiamo il caro-energia. Chiediamo un prezzo unico dell’energia elettrica in tutti i Paesi dell’Unione, con un’unica centrale d’acquisto per avere costi più competitivi, come si fece ai tempi del Covid con le mascherine. Chiediamo il disaccoppiamento, cioè la possibilità per le aziende, lavoratori e cittadini di pagare a prezzi più bassi l’energia prodotta da fonti rinnovabili (eolico e solare hanno costi di produzione più bassi, ndr;), e costruendo la filiera industriale completa. Il sindacato vuole essere parte di una discussione pragmatica su tutto questo».
Confindustria si era lamentata di non avere avuto finora al proprio fianco i sindacati a Bruxelles in materia di politiche industriali. Questa manifestazione segna un cambio di passo?
«Nessun cambio di passo. Per un motivo molto semplice: il sindacato è sempre stato in campo. Il 18 ottobre scorso, per esempio, abbiamo fatto uno sciopero e una manifestazione a Roma per chiedere al governo politiche per rilanciare il settore auto. Il problema è che quando si parla di politica industriale in Confindustria sta prevalendo un racconto falsato sia del passato che sulle prospettive per il futuro. Un racconto che non intendiamo avvalorare perché aiuta solo gli imprenditori che vogliono vivere di rendita e non supporta quelli che davvero vogliono giocarsi la partita degli investimenti e della crescita. Troppo facile scaricare tutto sull’Europa. Diverso il discorso con Federmeccanica, con cui almeno abbiamo condiviso nel 2022, insieme con Fim e Uilm, un documento e proposte concrete per contrastare il declino dell’automotive e garantire l’occupazione».
Quindi l’Europa non ha colpe?
«L’Europa ha evidentemente sbagliato ad affidare alcune scelte solo a regolamenti e mercato. Parliamo di scelte condivise da fior di multinazionali e imprese. Confindustria, poi, non parla di due fattori cruciali: investimenti e produttività. Certo, servono investimenti pubblici, siamo i primi a dirlo. Ma quelli privati dove sono? Sulla base di uno studio elaborato dal nostro ufficio studi, la produttività, grazie alla capacità dei lavoratori, non sta certo diminuendo. E i profitti - secondo uno studio dell'Osservatorio delle imprese dell'Università La Sapienza di Roma - ci sono eccome: l’80% viene redistribuito agli azionisti».
Lo stop al motore a scoppio nel 2035 andrebbe rimandato?
«Le condizioni per spostare il 2035 non ci sono. È come se nel mezzo di una curva difficile si tirasse il freno a mano: finiremmo fuori strada. Altro discorso sono le multe ai costruttori: a chi garantisce di non tagliare posti di lavoro andrebbero riviste. Anche perché quei soldi non finirebbero nelle casse dell’Unione ma nelle tasche di Musk (Tesla ha già accordi per esempio con Stellantis per compensare le emissioni delle auto con motore endotermico, ndr;)».
Come si risponde alla politica dei dazi di Trump?
«I dazi preparano le guerre e mettono in contrapposizione popoli, persone e imprese. La soluzione non è giocare al rialzo, dazi contro dazi. Ai dazi si risponde rilanciando sulla innovazione. La vicenda DeepSeek ci insegna una cosa importante: non c’è divario tecnologico incolmabile se un Paese si spende con tutte le sue forze per colmarlo. Il vero investimento va fatto su intelligenza e capacità dei lavoratori».
Il nucleare può essere un pezzo della soluzione?
«Tra dodici anni quando ci saranno i nuovi reattori potrebbe non esserci più l’industria. Ho sentito che il presidente di Confindustria ha dato la disponibilità a installarli nelle aziende: prima bisognerà chiedere ai lavoratori di quelle aziende che cosa ne pensano».
Una valutazione sulle politiche del governo in materia di industria.
«Mancano visione e gli strumenti istituzionali necessari per costruire oggi l’industria di domani».
L’ex Ilva?
«Noi chiediamo che l’Ilva rimanga nella sua interezza e non sia privatizzata e che lo Stato resti nel capitale con una quota. Altrimenti accadrà quello che abbiamo già visto: l’azienda sarà ulteriormente impoverita dal prossimo attore industriale privato e straniero che entrerà. L’ex Ilva ha bisogno di investimenti per rilanciare produzione, decarbonizzaizone e occupazione».
Stellantis?
«Siamo passati nel volgere di un mattino da un governo che attaccava Stellantis un giorno sì e l’altro anche, alle affinità elettive con la casa di Torino. Il tutto mentre la situazione è persino peggiorata, con gli ammortizzatori sempre più utilizzati anche nell’indotto. La sostanza è che i problemi sono ancora tutti lì. E non ci sono soluzioni in vista. Siamo molto preoccupati e a breve potrebbero riprendere le mobilitazioni. Ritengo un errore che non sia stato ancora convocato il tavolo a Palazzo Chigi».
L’11 febbraio incontrerete i vertici di Federmeccanica e Assistal per il rinnovo del contratto, pur avendo dichiarato altre 8 ore di sciopero a febbraio.
«Lo sciopero c’è perché l’incontro da lei citato è interlocutorio, non coincide con una reale ripartenza della trattativa. Una cosa vorrei dire alle nostre controparti: non negoziare il rinnovo del contratto nello scenario di crisi strutturale dell’industria che abbiamo appena tratteggiato è irresponsabile. Abbiamo negoziato durante la pandemia. E questa emergenza non è da meno. Bisogna stare seduti al tavolo, non fuggire dalla negoziazione».
Federmeccanica le risponderebbe che le aziende sono in difficoltà e i 280 euro che avete chiesto sono troppi.
«Sono stanco del solito appello al buon cuore dei lavoratori. L’industria metalmeccanica nel 2023 ha fatto più di 30 miliardi di utili. Guardiamo i dati Eurostat del 2022: l’incidenza del costo lavoro sul valore aggiunto nella metallurgia è del 37% in Italia contro una media Ue del 54,4%; nell’automotive è del 57,7%, contro una media UE del 66%.
Se guardiamo il valore aggiunto per ora lavorata in Italia nella metallurgia è pari a 83,42 euro contro una media Ue di 64,29 euro; nell’automotive il dato italiano è di 63,23 euro contro la media UE di 60,43. Prendiamo infine il costo orario lordo del lavoro: nella metallurgia in Italia è di 30,84 euro contro una media Ue di 35 euro, nell’automotive 36,51 euro contro i 39,91 UE. Mediamente nell’industria metalmeccanica un’ora di lavoro in Italia è 31 euro, contro i 34,5 euro della media UE. È evidente che i margini per la trattativa ci sono».
Voi che cosa mettete sul piatto?
«Le imprese non falliscono a causa del contratto nazionale, ma per la mancanza di investimenti e di fare sistema. Da parte nostra siamo pronti: a discutere a partire da innovazione, sostenibilità economica e sociale nelle nostre industrie, e chiediamo al governo di detassare i minimi del Ccnl, favorire assunzioni di giovani e riduzioni orarie con incentivi. Il modello basato soltanto su export e stipendi bassi non funziona più. Ora lo ha detto anche Draghi, noi lo sostenevamo da tempo».
Intervista di Rita Querzè al segretario generale della Fiom-Cgil Michele De Palma, pubblicata su corriere.it del 4 febbraio 2025.