Michele De Palma, segretario Fiom, lo sciopero di quattro ore dei metalmeccanici, proclamato da Fim, Fiom e Uilm per oggi al Nord e per lunedì al Sud, è una prova di uno sciopero generale contro il governo?
“Per me, come nel modello tedesco, è uno sciopero di avvertimento. Lo dico per una ragione fondamentale. Ci sono decine e decine di tavoli aperti su crisi industriali, ma non ci sono mai soluzioni: si va dall’ex Ilva alla Wartsila fino all’ex GKN e all’IIA. Non si trova mai una via d’uscita, migliaia di lavoratori vivono nel limbo. nel nostro Paese non c’è una visione di politica industriale. E non è un problema solo di questo governo, ma di tutta la politica”.
Parlando di politica, la prima vera battaglia dell’opposizione è sul salario minimo. Lei è d’accordo?
“Sono storicamente convinto che siano due gli elementi, le gambe, che darebbero dignità salariale al lavoro: l’applicazione dei contratti erga omnes, che rafforzerebbe la rappresentanza e impedirebbe la competizione tra le aziende sul costo del lavoro, e poi il salario minimo”.
Che modello immagina per il salario minimo?
“Un’evoluzione di quello tedesco in cui, a partire dalla contrattazione, in una cabina tra il governo, le imprese e il sindacato, definisce il salario orario sotto il quale non si può andare”.
Molti suoi colleghi dicono che è una limitazione alla contrattazione. Cosa risponde?
“Che dovrebbero andare da chi guadagna 5 o 6 euro all’ora per spiegargli che non può guadagnare 3 euro in più all’ora per salvare la contrattazione. Non so cosa si sentirebbero rispondere. In ogni caso il salario minimo non è sostitutivo dell’insieme degli istituti contrattuali. Il salario minimo è una cosa giusta, che guarda alle donne, ai giovani precari, alle parti più deboli”.
9 euro, come propone l’opposizione, sono sufficienti?
“Come dicono i lavoratori in ogni assemblea sul rinnovo dei contratti: i soldi sono sempre pochi”.
Il governo Meloni non si occupa di lavoro?
“Se ne sta occupando, ma dal suo punto di vista, quello della destra, e ha un’idea individuale e corporativa del lavoro. La scelta del salario minimo da parte delle opposizioni rimette al centro un altro tipo di idea di lavoro, quella del campo progressista. Ora serve una legge sulla rappresentanza per la contrattazione, di stabilità alle persone cancellando la precarietà.
Bonomi dice che il salario minimo non è un problema di Confindustria. È cosi?
“Il suo problema è attaccare è l’Istat per l’Ipca depurato, indice di riferimento per gli adeguamenti del salario rispetto alla dinamica dei pezzi. Quest’anno la crescita è di 123,4 euro al mese per i metalmeccanici. Non è corretto invocare un cambiamento delle regole, che stanno all’interno del patto per la fabbrica, quando fa comodo perché gli incrementi sono troppo alti, mentre quando si contavano sulle dita di una mano non si diceva nulla”.
C’è un disinteresse trasversale rispetto alla fabbrica?
“Credo che sia una questione culturale. In Italia si sono vendute tutte le partecipate pubbliche, ad eccezione di Leonardo e Fincantieri, al contrario di quello che si è fatto negli altri Paesi europei, e si prediligono gli investimenti finanziari rispetto a quelli industriali. E anche la centralità del lavoro è venuta meno. È stata riscoperta con la pandemia, Cessata l’emergenza si è tornati indietro”.
È possibile che si debba manifestare per sostenere la transizione energetica nell’industria?
“Si, soprattutto quando per la politica il problema è la transizione energetica stessa, non in non averla affrontata per tempo. Ed oggi il Governo deve intervenire sui costi dell’energia. Ormai siamo abituati ad affrontare le questioni quando scoppia l’emergenza. Domina l’atteggiamento Croce Rossa. Ma noi non siamo la Croce Rossa e non vogliamo esserlo”.
Il governo Meloni non ha quindi responsabilità?
“No, no. Ne ha. Ha risorse che gli altri governi non avevano grazie al Pnrr, ma i problemi che ci sono rispetto all’utilizzo sono noti, e poi continua a dire che l’Italia va meglio degli altri. Attenzione, se inizia a fermarsi l’industria in Francia e in Germania gli effetti si sentiranno nel giro di poco sulla nostra catena di fornitura. Lo stiamo già vedendo in alcune aziende del Nord. Per questo diciamo che è necessario fare il piano per la transizione energetica, quello per l’auto, per la siderurgia. Insomma, ci vogliono strategie e risorse, non narrazioni”.
Che inverno sarà?
“È tutto nelle mani del governo e del sistema delle imprese. Con le difficoltà che avremo, l’instabilità geopolitica, la guerra, l’inflazione e il costo del denaro, o c’è l’apertura di una fase di contrattazione o il sindacato i tavoli se li va a prendere con gli strumenti che ha a disposizione”.
Intervista a Michele De Palma di Diego Longhin, pubblicata su La Repubblica del 7 luglio 2023