Lunedì, 04 Novembre 2024

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De Palma rilancia: un piano per l’elettrico.

Il  congresso della Fiom si svolge mentre tiene banco il dibattito sulla decisione Ue di bandire dal 2035 le auto con motore endotermico. Qual è la vostra posizione?

«L’Italia – risponde Michele De Palma, segretario  della Fiom-Cgil - potrebbe produrre 2 milioni di veicoli e invece ne produce  500mila. Ci vuole un investimento straordinario, di cui si faccia carico anche il governo, per la transizione ecologica salvaguardando l’occupazione. Dobbiamo produrre non solo auto elettriche, ma anche tutto quello che c’è intorno a esse».

Qual è il tema al centro del vostro congresso?

«Siamo appunto in una fase di fortissimo cambiamento, per via della transizione digitale e ambientale. E, come se non bastasse, ci sono  guerra e inflazione. Bisogna ripensare il sindacato industriale».

Come?

«Il vento sta cambiando. Le mobilitazioni dei lavoratori nel Regno Unito e in Francia, la vertenza dei metalmeccanici in Germanica, ci dicono che  i lavoratori vogliono più sindacato. I giovani chiedono  di non abbassare ancora l’asticella dei diritti, delle condizioni di lavoro e di retribuzione. Bisogna  riunificare il mondo del lavoro, dando stabilità ai contratti di lavoro».

Nonostante le incognite su automotive e  siderurgia, l’industria italiana  sembra tenere bene. Per certi versi meglio della  Germania.

«La situazione è disomogenea. I problemi di Stellantis e Acciaierie d’Italia riguardano due pilastri, anche in termini di occupazione. Le medie imprese, invece, hanno dimostrato grande capacità di resilienza collocandosi nelle catene di fornitura internazionali, accrescendo volumi  e risultati, è necessario redistribuirli con salario e riduzione orario. 

Al punto che in  Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna molte imprese non trovano lavoratori. Nel Sud, invece, c’è un processo di desertificazione industriale».

Come intervenire?

«Riscoprendo una parola: programmazione. Col ministero dello Sviluppo e le maggiori imprese bisognerebbe fare una conferenza nazionale sull’industria, per capire come investire da un lato e come risolvere la questione salariale dall’altro. Investire, in particolare sulle nuove generazioni. Oggi l’età media  dei metalmeccanici  è troppo alta. Certo, pesa il declino demografico, ma c’è anche  carenza di investimenti delle imprese del Nord nel Mezzogiorno. E non si può pretendere che senza contratti stabili e mentre le retribuzioni perdono potere d’acquisto un giovane si sposti. Bisogna dare una prospettiva».

Il vostro contratto può essere un modello per difendere i salari dall’inflazione?

«In parte. Grazie a una clausola di salvaguardia i metalmeccanici recuperano ogni anno l’Ipca reale depurata dai fattori energetici. Quindi la metà dell’inflazione reale, ma non basta. Ig Metall, il sindacato dei metalmeccanici tedeschi, ha fatto un accordo con le imprese che fa aumentare i salari dell’8,4% in due anni, ma il governo ha aggiunto 3mila euro di una tantum per ogni lavoratore. Questo è quello che manca in Italia. I famosi 3mila euro per pagare le bollette, che il governo aveva previsto le imprese potessero dare ai lavoratori esentasse, in realtà sono stati dati in pochissime aziende».

Convincere i lavoratori a iscriversi al sindacato è sempre più difficile. Su cosa bisogna far leva? 

«Gli iscritti li fai quando stabilizzi rapporti di lavoro precari e quando introduci la contrattazione di secondo livello, cioè quando cambi la condizione  delle persone. Non basta più  rinnovare solo il contratto nazionale».

 

 

La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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