Place de la Defence Parigi sembra il teatro della perfetta rappresentazione dell’istallazione del capitale in Europa: un enorme centro commerciale e tutto attorno, come dei totem, le grandi torri di controllo dei quartier generali dei giganti dell’energia e dell’economia. Una di queste è occupata dall’ex Alstom, adesso frequentata nei suoi piani più alti dal management di General Electric che ne ha acquisito la proprietà lo scorso 12 gennaio con una delle operazioni più importanti per dimensioni e per esborso di capitali della sua storia: 8,5 miliardi di euro.
Da Parigi era anche partito l’annuncio, nel comitato aziendale europeo, dei 6.500 esuberi in Europa che l’azienda intende licenziare per ripianare gran parte del costo dell’operazione.
Un comportamento classico per una multinazionale ma diffuso anche tra molte imprese “nazionali”, che hanno appiattito la strategia industriale su un piano di rientro finanziario a breve termine con lo scopo di rispondere agli appetiti degli azionisti e garantire gli obbiettivi dei super manager che portano a casa stipendi proporzionalmente imparagonabili e offensivi per quei lavoratori che - sito per sito, paese per paese . quotidianamente costruiscono le basi industriali su cui si fondano le fortune dell’impresa.
I delegati europei di GE non ci sono stati, non hanno accettato i piani lacrime e sangue annunciati lo scorso inverno dall’azienda e così hanno lottato fino a lanciare una primavera di solidarietà europea che ha già molto da insegnare. L’8 aprile a Place de la Defence i turisti, i clienti del centro commerciale che passeggiano veloci tra i controlli antiterrorismo sono stati sorpresi dalla presenza, sotto il Grande Arco, di 2.500 lavoratori GE che da tutta Europa si sono dati appuntamento per rivendicare le loro ragioni e i loro diritti.
Partiti da tutta la Francia, e in pullman dalla Germania, dal Belgio, dalla Spagna, dall’Italia per rivendicare il diritto a un’Europa che riconosca i diritti dei propri lavoratori.
La proposta della manifestazione è nata nella discussione dell’IRS, l’istanza temporanea di rappresentanza dei lavoratori ex-Alstom passati a GE. Nelle faticose riunioni a Parigi con l’azienda, i rappresentanti dei lavoratori hanno condiviso prima di tutto un aspetto di valore che oggi insegna di nuovo qualcosa al sindacalismo europeo: hanno discusso e sono ripartiti dalla pratica sindacale, europea e quindi dalla necessità di costruire solidarietà internazionale. Il rischio di gestire solo gli effetti del piano a livello nazionale di fronte a un'unica azienda multinazionale ha convinto i rappresentanti dei lavoratori che la loro voce doveva essere una (va dato merito alla nostra rappresentanza di essere stata uno dei più tenaci stimoli in questa direzione) chiedendo da subito coordinamenti sindacali a Bruxelles.
In piazza in mezzo alle bandiere dei sindacati di mezza europa sono intervenuti molti segretari, il vice segretario di IndustriAll Europe (la federazione europea dell’industria alla quale sono affiliate Fim, Fiom e Uilm) e Stefano Sfregola della Fiom di Sesto San Giovanni che ha ricordato a tutti che “GE non può venire in Europa a fare la spesa e scegliere cosa le piace e cosa non le piace e buttare via la professionalità di 6.500 persone”.
Dietro le sue parole un fatto ormai evidente: le istituzioni europee che in tutta l’operazione sono intervenute in materia di antitrust non possono non prendere in considerazione le ricadute sociali di tali operazioni. Il ruolo dell’Europa si fa ancora attendere, e non solo nella gestione degli effetti ma anche in maniera propositiva: manca una risposta industriale di prospettiva, mancano dei riferimenti generali a tutela dell’occupazione e dei diritti dei lavoratori che evitino il continuo dumping sociale di cui le imprese si servono, (le lavorazioni che dovrebbero lasciare Sesto San Giovanni con la chiusura non spariscono nel nulla ma vengono delocalizzate in est-europa).
Dall’altro lato è in discussione anche il ruolo del sindacato europeo, ovvero la sua capacità di pratiche comuni oltreché di documenti d’intento. Ed è per questo che i lavoratori di GE sono un esempio positivo, perché nel reclamare il ruolo dell’Europa ne costruiscono una loro, danno vita nelle loro pratiche al sindacato che vorrebbero, lo rivitalizzano nelle conferenze stampa nazionali che annunciano una manifestazione europea, nei volantinaggi in tutta Europa con lo stesso testo per tutti, nella delegazione europea che l’azienda è stata costretta a incontrare a Parigi mentre 2.500 persone gridavano slogan in 5 lingue diverse.
Questa primavera vede la Francia mobilitata massicciamente contro la riforma del lavoro, l’Italia impegnata nello sciopero unitario per il rinnovo del contratto, la Grecia che lotta per reintrodurre la contrattazione collettiva, l’Inghilterra alle prese con una proposta di legge che smantella di fatto il diritto allo sciopero e le libertà sindacali, la Finlandia che cerca di trovare una chiusura sostenibile all’offensiva del governo contro la contrattazione; e molti altri paesi impegnati sulle stesse battaglie perché l’offensiva condotta contro i diritti dei lavorati ha delle varianti ma una comune matrice.
La risposta passa anche dalle vertenze come GE dove i lavoratori si fanno voce e braccia di un sindacato solidale e internazionale che non ci sta a farsi contrapporre e che chiede rispetto e risposte credibili.
Intanto, dopo la manifestazione, i lavoratori portano a casa il prolungamento di due mesi della scadenza per il confronto con l'azienda a livello europeo posticipandolo al 2 giugno.