Barcellona. "La situazione dell'industria in Catalunya è l'esempio di come si decapitalizza uno dei settori dell'economia più stabili di un paese". Javier Pacheco, segretario industria di Comisiones Obreras Catalunya sintetizza così la situazione desolante in cui versa il settore. Nel 2000 l'industria rappresentava il 24,8% del Prodotto interno lordo catalano. Nel 2013 è scesa al 18,9% del Pil (una riduzione di 5,6 punti percentuali). A livello nazionale l'industria nel 2000 rappresentava il 18,8% del Pil nazionale mentre nel 2013 è scesa al 12,2% (meno 6,6 punti percentuali).
"Gli occupati nel settore - dice Pacheco - secondo i dati del governo della Generalitat catalana, nel 2000 erano 673 mila e nel 2013 sono scesi a 436.962. In altre parole quasi 240 mila persone hanno perso il posto di lavoro in questo periodo". A livello nazionale, secondo il rapporto annuale del ministero dell'industria, gli occupati nel settore erano 1.857.975 (ovvero il 19,3% del totale della forza lavoro). Nel 2013 sono scesi al 13,1%.
"Questo - insiste Pacheco - è evidentemente la conseguenza di vari elementi che hanno concorso a creare la situazione in cui ci troviamo. Prima di tutto, abbiamo avuto governi conservatori che hanno facilitato la migrazione del capitale tradizionale catalano verso quei settori più speculativi come quello della costruzione negli ultimi vent'anni". Una migrazione che ha comportato una perdita progressiva di posti di lavoro e di stabilità economica.
"Attualmente - dice Pacheco - il totale del settore industriale che rappresentiamo, metallurgia, chimica e tessile, conta circa 17 mila centri di lavoro. L'industria agro-alimentare, che ne ha circa 4 mila, è calcolata a parte ed è quella che forse ha più prospettive di crescita".
Nonostante questi dati non lascino un grande spazio all'ottimismo, Pacheco è convinto che "ci sia ancora un margine di tessuto produttivo che può essere ricostruito".
Per risolvere la crisi, sostiene il sindacalista di CCOO, bisogna, da un lato, "tornare a recuperare una egemonia sociale nella proposta e pratica di politiche industriali che possano essere poi trasferite all'azione di governo"; e dall'altro "bisogna fare un ragionamento serio sui costi che può avere il recupero, ovvero la strada verso l'uscita dalla crisi".
Perché non v'è dubbio, sottolinea Pacheco che "il primo di questi costi su cui ragionare ha a che fare con la svalutazione salariale che ha, paradossalmente, aumentato la competitività. Una mano d'opera meno cara ha reso lo stato spagnolo un polo attrattivo per gli investimenti". Il costo del lavoro, però, non è oggi il primo elemento che valuta chi vuole investire. "Servono infrastrutture, comunicazioni, costi energetici sostenibili - dice Pacheco - Ma in questo noi siamo carenti: abbiamo un problema di carattere logistico, perché in Catalunya mancano vie di comunicazione, c'è bisogno di regolare costi portuali ecc. Per quanto riguarda i costi energetici poi in Catalunya abbiamo una politica molto vincolata all'oligopolio del governo spagnolo che ha fatto sì che nella nostra regione si creasse una irrazionalità evidente: una impresa pubblica italiana sta controllando una impresa spagnola privata e liberalizzata, endesa".
Una situazione che ha causato, tra le altre cose, la fine degli investimenti nella rete elettrica negli ultimi 5 anni. Non si arriva nemmeno al 20% degli investimenti realizzati nel 2010. Inoltre, la perdita di impiego nel mantenimento della rete è stata tra le più drammatiche, con una riduzione del 50%. "Oggi - sottolinea Pacheco - la metà dei lavoratori che c'erano nel 2010 è responsabile del mantenimento dell'intera rete elettrica catalana".
Il segretario industria di Comisiones sottolinea la questione energetica non solo perché rappresenta un fattore importante rispetto ai costi nel recupero dell'industria ma anche perché è protagonista attualmente di uno dei conflitti sindacali più significativi. "Siamo riusciti - dice Pacheco - per la prima volta nella storia a convocare una mobilitazione che si è caratterizzata in 4 giorni di sciopero, due in dicembre e due in gennaio di tutti i lavoratori del settore del mantenimento della rete elettrica di Catalunya". Il processo di mobilitazione continua e si sta aspettando l'apertura di un tavolo di negoziato con l'impresa.
Alla domanda su come si è organizzato il sindacato in questi anni di crisi economica da un lato e di attacco pesante ai diritti dei lavoratori e più in generale alle libertà civili, Pacheco sottolinea che il tentativo è stato quello di "condizionare il processo di ristrutturazione che si è andato producendo in questo paese, con la resistenza da un lato e mettendo al centro del nostro ragionamento il lavoro come valore fondamentale dall'altro. Parallelamente - aggiunge - abbiamo cercato di non perdere gli strumenti che i lavoratori hanno per poter intervenire, primo fra tutti il contratto collettivo che il governo del Partido Popular ha cercato di sottrarci anche attraverso modifiche alla legislazione. Il sindacato, però, è riuscito a preservarlo dagli attacchi sia giuridicamente che sindacalmente. Credo infatti che possiamo dire che se nel 2014 abbiamo preservato la trattativa dei contratti collettivi nel 2015 stiamo entrando in una fase offensiva, promuovendo il recupero dei diritti. Giochiamo con due elementi contro: la controparte come è evidente, però anche una certa resistenza da parte dei lavoratori. Dobbiamo convincere i nostri lavoratori a perdere la paura e a ricominciare a difendere i contratti".
Parlando di esempi concreti, il segretario industria di Catalunya, sottolinea un esempio generale giuridico. "La continua posizione in difesa del contratto collettivo - dice - ha permesso che alla fine il giudice abbia emesso una sentenza che condiziona la ultrattività (applicazione automatica di un contratto già denunciato) dei contratti mantenendo le condizioni dei lavoratori".
Un altro esempio importante di lotta riuscita che il sindacato può vantare è certamente la vertenza Coca Cola: una lotta sindacale che ha avuto soprattutto un carattere giuridico. "Ci siamo infatti trovati di fronte - dice Pacheco - a una multinazionale che pensava di poter applicare ad hoc il contratto e che si è vista invece dichiarare nulli i licenziamenti che aveva effettuato. La vertenza è stata difficile e tesa, e non è ancora finita. Ma l'impresa ha dovuto fare i conti con lavoratori molto determinati". Coca Cola ha 4.200 lavoratori nello stato spagnolo e nel 2013 aveva annunciato un piano di ristrutturazione che prevedeva un 30% di esuberi. Il sindacato ha fatto ricorso contro i licenziamenti ottenendo nel 2014 che il tribunale ordinasse alla multinazionale il ritiro dei licenziamenti.
Anche in Catalunya, a Barcellona, il sindacato ha avuto l'appoggio di una sentenza di tribunale quando ha denunciato il padronato per la mancata osservanza del contratto dei metalmeccanici. "Il padronato - dice Pacheco - aveva usato la crisi per non rispettare gli accordi sul salario pattuiti e per bloccare la revisione dei salari nel 2013. La vertenza è durata un anno perché l'impresa voleva rinegoziare al ribasso l'accordo. Dopo la convocazione di due giorni di sciopero, poco prima della mobilitazione il padronato ha ceduto. Gli imprenditori - aggiunge Pacheco - pensavano che non avessimo la forza necessaria per bloccare tutto. Ma quando si sono resi conto che il blocco sarebbe stato reale ed efficace, hanno ceduto".
Un'altra vertenza importante in Catalunya è stata quella alla Alstom. Altra lotta dura ma conclusasi "con un buon risultato. Non è stato facile, - ammette il sindacalista di CCOO - sono stati due anni di attacchi continui al nostro sindacato. Ma siamo comunque riusciti a costringere l'azienda a un processo negoziale dove abbiamo pattuito fuoriuscite concordate e un piano di ristrutturazione concordato con il sindacato".
(3- fine)
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