Documento politico conclusivo del XXVI Congresso nazionale Fiom-Cgil
Rimini 10-12 aprile 2014
Primo firmatario: Gianni Venturi
Il 26° Congresso Nazionale della FIOM-CGIL si conclude diversamente da come si era avviato e da come tutti noi ci auguravamo potesse concludersi.
Abbiamo provato a non rassegnarci a quest'idea, senza nascondere differenze e pluralismi che pure si sono espressi durante il percorso congressuale.
Abbiamo alla fine ritenuto, per onestà e per responsabilità verso chi rappresentiamo, di prendere atto di una differenza di analisi, di prospettiva, da articolare in un nostro documento.
Questa differenza riguarda in particolare una diversa idea di come mettere lo straordinario potenziale di critica, di lotta, di conflitto che la nostra categoria può esprimere, al servizio di un progetto di riconquista di rapporti di forza che la crisi ha inevitabilmente squilibrato in profondità e che per essere affrontato necessita di analisi rigorose, di alleanze larghe, di capacità di guardare e parlare oltre i nostri rassicuranti confini.
In questo senso, per noi, per un sindacato di categoria, la sfida primaria ed il terreno su cui agire non può che essere quello della contrattazione e della sua efficacia.
La FIOM-CGIL non può correre il rischio di subire un nuovo accordo separato nel 2015 e per questo occorre costruire, da subito, le condizioni perché ciò non accada.
Sulle lavoratrici e sui lavoratori metalmeccanici non possono pesare oltremodo gli effetti di una divisione sindacale, certo da noi non voluta, ma che oggettivamente si è scaricata sulle loro condizioni di lavoro e di insicurezza sociale.
I congressi ci hanno detto anche e sopratutto questo:
dentro ad una crisi senza precedenti, che ha pesantemente diviso i destini di ognuno emerge una richiesta ed un'esigenza di unità tra i lavoratori metalmeccanici ed i loro sindacati; la necessità di superare lo scarto tra un dibattito, spesso percepito come autoreferenziale e la nostra iniziativa ed i risultati concreti che essa produce.
Sarebbe bene tenerne conto:
FIM e UILM dovrebbero per prime riconoscere il fallimento di una strategia che ha fatto degli accordi separati, della derogabilità economica e normativa del CCNL, della precarietà nel mercato del lavoro, le uniche risposte possibili alla crisi senza indagarne le ragioni di fondo o ignorandole colpevolmente.
Siamo infatti di fronte ad una caduta verticale degli investimenti pubblici e privati, soprattutto nei settori orientati alla ricerca ed all'innovazione; al rischio di scomparsa di settori primari per l'economia italiana (la produzione a ciclo integrale nella siderurgia e la produzione di alluminio primario) e ad un declino nei settori strategici:
sia quelli che hanno in passato guidato l'innovazione (auto e componentistica), sia quelli ad alta tecnologia (aeronautica, spazio, informatica e microelettronica, TLC).
Sono un modello di sviluppo ed un'idea di competitività ad essere entrati profondamente e forse definitivamente in crisi.
Vuoto nelle politiche industriali, competizione sui costi, essenzialmente sul costo del lavoro, disgregazione dei cicli produttivi, appalti e sub-appalti e crescente precarietà nel mercato del lavoro, hanno accompagnato un profondo processo di de-industrializzazione, in particolare nel Mezzogiorno.
Tra il 2007 ed il 2012 l'industria manifatturiera ha perso oltre 750.000 occupati; il numero delle ore lavorate è diminuito del 16,7%; la produzione del 25%, quella metalmeccanica del 30,4%.
Tuttavia solo una parte delle produzioni ha preso la via dei Paesi a basso costo del lavoro a dimostrazione di come la sfida vera sia ormai stabilmente collocata sulla frontiera dei modelli, dei prodotti, della loro qualità, delle intelligenze che incorporano.
Nella “Grande Trasformazione” industriale la FIOM-CGIL, la nostra categoria, deve porsi l'obiettivo di indicare cosa può e deve fare, essa per prima, per ristabilire un nesso tra la contrattazione di categoria e le più generali politiche di sviluppo, a cominciare dall'attrezzare un'analisi sistematica della metamorfosi che si va compiendo nei nostri settori di riferimento.
In questo senso è necessario dotarsi di un Ufficio Economico in grado di aggiornare permanentemente letture e materiali su temi ed andamenti rilevanti per l'iniziativa della categoria, quali lo sviluppo industriale, l'internazionaliz-zazione, l'occupazione e le retribuzioni.
Va promossa, con cadenza annuale, una Conferenza Economica Nazionale con apporti di competenze esterne, di esperienze e di osservatori territoriali già operanti e di confronto con FEDERMECCANICA e le altre Associazioni di categoria.
Così come è necessario prevedere la presentazione di un rapporto annuale sulla contrattazione, con il coinvolgimento diretto delle RSU.
Cresce l'esigenza di un bilancio della nostra contrattazione, in una fase nella quale essa ha assunto prevalentemente, quando non essenzialmente, il profilo difensivo dentro la crisi, per ritornare a dare alla stessa un carattere acquisitivo ed integrativo.
Queste priorità vanno ricondotte ad una selezione rigorosa delle scelte strategiche da mettere in campo, tra cui:
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Riconquistare e riaffermare il valore generale, inclusivo e solidale del CCNL come strumento di riunificazione delle tutele e dei diritti dei lavoratori, non derogabile, né per quanto riguarda i minimi salariali, né per quanto riguarda le norme generali.
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Rilanciare, con la contrattazione collettiva, la funzione ed il ruolo di autorità salariale del sindacato.
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Ricostruire, con un rinnovato protagonismo delle RSU, con la contrattazione di secondo livello, il legame tra salario aziendale, produttività, investimenti.
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Riunificare, nella contrattazione di filiera, il ciclo produttivo misurandosi con realtà in cui convivono, ormai strutturalmente, vecchie rigidità del fordismo e nuove forme di alienazione dal processo produttivo e dal suo controllo.
In questo quadro le regole sulla rappresentanza e la democrazia, insieme all'indispensabile abrogazione dell'articolo 8 del DL 138/2011, assumono una funzione fondamentale di sostegno alla contrattazione ed alla riconquista del potere di intervento sulle condizioni di lavoro.
È un grave errore vincolare la categoria all'obbiettivo di rendere inapplicabile il TU del 10 gennaio 2014, nonostante la consultazione della CGIL confermi largamente il giudizio positivo, sia nelle categorie dei settori afferenti a CONFINDUSTRIA e CONFSERVIZI, sia nelle categorie che con un voto separato, hanno indicato l'esigenza di estensione dei contenuti di quell'intesa ai propri settori di riferimento ad oggi sprovvisti di qualsiasi regolamentazione.
Questa scelta rischia di condannare i nostri rappresentanti nei luoghi di lavoro, gli iscritti alla FIOM-CGIL ad una stagione che sarà ancora di divisione, di conflitto, quando non di esclusione.
Una responsabilità che non intendiamo condividere per il giudizio complessivamente positivo che vogliamo ribadire sul TU e perché pensiamo che esso rappresenti una delle condizioni fondamentali per mettersi alle spalle non solo una stagione, appunto, di divisioni, conflitti, esclusioni, ma le ragioni stesse che l'hanno prodotta.
Come abbiamo sostenuto nella consultazione soltanto il SI all'intesa avrebbe dato forza alle ragioni di tutta la FIOM-CGIL ed avrebbe consentito di gestire, da una posizione di maggior forza, nel rinnovo del CCNL, le materie ad esso rinviate e sulle quali permangono criticità condivise da tutta la nostra categoria.
Tanto più, se invece di esaltarne i limiti e le criticità, non si censurassero gli elementi di straordinaria novità che vengono introdotti:
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dalla certificazione e misurazione della rappresentanza;
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alla validazione dei CCNL con il voto vincolante dei lavoratori;
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al superamento di quell'autentica distorsione nell'elezione della RSU che in questi anni ha prodotto il paradosso per cui la FIOM-CGIL primeggiava nel dato elettorale, ma veniva penalizzata nell'assegnazione dei delegati, per l'esclusione dalla ripartizione del 1/3.
Nel nostro giudizio il TU del 10 gennaio rappresenta un punto di equilibrio e di sintesi che può favorire una regolazione generale per via legislativa, coerentemente con la sentenza della Corte Costituzionale dell'estate scorsa.
Un pronunciamento importante in termini generali, che da un lato ha sancito il diritto ai delegati della FIOM-CGIL ad essere presenti in FIAT, ma che non ha risolto pienamente e definitivamente il tema delle agibilità sindacali.
Spetta ora alla CGIL ed al 17° Congresso determinare le condizioni per ricomporre, nelle differenze e nei pluralismi, un senso ed una ragione condivisa della confederalità e del suo agire.
Tanto più in una fase in cui, insieme ad una intollerabile continuità nelle politiche del mercato del lavoro e previdenziali e di assenza di quelle industriali, si affaccia sulla scena una nuova forma di “populismo istituzionale”, centrata sui poteri dell'esecutivo, che incorpora pulsioni diffuse e trasversali ed esplicita un disegno di svuotamento e superamento delle diverse e molteplici strutture di mediazione democratica.
Tanto nelle forme consolidate della democrazia rappresentativa (in primo luogo il Parlamento), quanto nelle forme altrettanto consolidate di rappresentanza sociale e di interessi collettivi (dai sindacati alla Confindustria).
CGIL, CISL e UIL devono rispondere con un'iniziativa straordinaria che dimostri l'infondatezza del presupposto da cui muove l'ennesimo assalto all'idea stessa di rappresentanza collettiva, ovvero il presunto declino irreversibile del loro grado di rappresentatività.
Chiediamo alla CGIL di proporre a CISL e UIL di estendere rapidamente l'intesa del 10 gennaio e che si vada, appena possibile, ad un rinnovo generalizzato delle RSU, che porti contemporaneamente milioni di lavoratori ad eleggere le proprie rappresentanze democratiche nei luoghi di lavoro con le nuove regole ed a certificare il numero dei propri iscritti.
È questa la via per cancellare ogni alibi dietro cui si nascondono nuove e vecchie forme di populismo che indeboliscono non tanto la tenuta, quanto la ricchezza e la qualità democratica dell'Italia e della nostra Costituzione Repubblicana.
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