La sentenza della Corte Suprema di Cassazione – Sezione Lavoro – del 04/11/2015 sancisce definitivamente le ragioni della lavoratrice impiegata con mansione di centralinista assunta dalla Fonpresmetal di Bione in qualità di invalida e licenziata il 22.03.2010 per soppressione di mansione (installazione centralino automatico) aggiungendo contestualmente che anche la quota di riserva era rispettata mantenendo in servizio 5 dipendenti in qualità di invalidi.
Il licenziamento è stato impugnato dall’Ufficio Vertenze della Fiom di Brescia per il mancato rispetto dell’obbligo di ripescaggio (assegnazione ad altre mansioni equivalenti) sia per il mancato rispetto della quota di posti riservata agli invalidi. Al momento del licenziamento la ditta calcolava la quota di riserva del 7% su un numero di 78 dipendenti, escludendo dalla base di calcolo 2 lavoratori assunti con contratto di apprendistato.
La lavoratrice, l’Ufficio Vertenze della Fiom di Brescia e l’Avvocato di riferimento della Fiom di Brescia, Giuseppe Ragusa hanno sostenuto, a ragione, che anche gli apprendisti dovevano entrare nella base di calcolo per la determinazione della quota di riserva per il numero di posti di lavoro riservati agli invalidi.
Sia la sentenza di primo grado del Tribunale di Brescia Sezione Lavoro del 25.05.2012 che la sentenza della Corte D’Appello di Brescia Sezione Lavoro del 18.10.2012, accogliendo le tesi proposte dalla lavoratrice e dalla Fiom di Brescia, condannavano la ditta alla reintegrazione nel posto di lavoro, al risarcimento fissato in 5 mensilità della retribuzione globale di fatto, al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dalla data del licenziamento fino alla reintegrazione, successivamente l’azienda ha fatto ricorso presso la Cassazione, che ha respinto a sua volta il ricorso.
La sentenza di Cassazione, di cui riportiamo la parte finale, pone un punto fermo e da oggi può costituire un precedente normativo importante a tutela dei lavoratori disabili:
“Da ultimo va considerato che questa Corte, nel dubbio interpretativo, non può che dare una interpretazione conforme alla Convenzione sui diritti del disabile delle Nazioni unite del 13.12.2006 che valorizzi cioè la protezione del soggetto portatore di disabilità e, quindi, meritevole di una protezione rafforzata anche sul piano lavorativo, anche alla luce dell'art. 26 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che riconosce il diritto delle persone con disabilità di beneficiare dì misure idonee a garantire l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità" in piena coerenza con l'art. 15 della Carta sociale europea e del punto n. 26 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (che ne costituiscono a loro volta le fonti come attestato dalle Spiegazioni alla Carta da tenere "in debita considerazione" ex art. 6 TUE) , come già ricordato da questa Corte (cfr. cass. n. 7889/2011 e 9201/2012), sotto altri profili concernenti la tutela del lavoratore portatore di handicap. Sebbene la Carta dei diritti Ue non sia direttamente applicabile in quanto "fonte" alla fattispecie in esame, posto che la questione non può definirsi attuativa del diritto dell'Unione, non può dubitarsi che la Carta ( e con essa l'art. 26) attesti- come affermato già con la nota decisione n. 135/2002 della Corte costituzionale - abbia carattere "espressivo di principi comuni degli ordinamenti europei" il rispetto dei quali deve presumersi nelle politiche legislative degli Stati membri, tanto più che nel caso in esame la disposizione è replicata in altre Carte ratificate dall'Italia e supportata da una specifica Convenzione delle Nazioni Unite ratificata con legge n. 18/2009. Va ricordato, in questa chiave, che la Corte delle leggi ha più volte richiamato, a fini interpretativi, le disposizioni della Carta di Nizza in questioni non “di diritto europeo" ai sensi dell'art. 51 della Carta stessa, da ultimo nella sentenza n. 178 del 2015 che ha dichiarato l'incostituzionalità del cosiddetto blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, decisione che ha fatto anche riferimento all'art. 28 della Carta di Nizza, alla Carta sociale europea, alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo ed alle Convenzioni Oil, secondo una logica di integrazione tra fonti dì protezione dei diritti fondamentali interne, convenzionali, sovranazionali ed internazionali che costituisce una preziosa e significativa indicazione anche per il Giudice comune, in particolare per quello di legittimità cui certamente spetta in primo luogo di orientare, senza rotture con il dato letterale delle norme nazionali, la giurisprudenza interna in modo che sia coerente con i vincoli liberamente assunti dal nostro paese in sede europea ed internazionale. L'importanza della Convenzione N.U. del 2006 ha peraltro indotto l'Unione a ratificarla con decisione 2010/48/CE con la conseguenza che per la Corte di giustizia (sentenza del 18.12.2014, C- 354/13) le stesse direttive normative antidiscriminatorie vanno interpretate alla luce della Convenzione, si da confermare il particolare valore che la tutela delle persone portatrici di handicap assume nell'ordinamento sovranazionale. L'interpretazione adottata nella sentenza non solo appare coerente con i testi di legge esaminati e adeguatamente e correttamente motivata, ma appare anche doverosa in ordine al rispetto degli impegni internazionali assunti dal nostro paese e dalla stessa Unione europea (dopo che il Trattato di Lisbona che ha reso possibile la ratifica di Trattati internazionali).”
Fiom-Cgil Brescia
19 febbraio 2016