La realtà industriale tarantina è stata quanto mai vessata da plurime morti sul lavoro, per infortuni o malattie professionali. Vi insistono, difatti, da cinquanta anni, a ridosso della città, uno dei più grandi stabilimenti siderurgici di Europa e forse del mondo, una importante raffineria di idrocarburi, un cementificio ed i cantieri navali, dai cui impianti si sprigionano notevoli quantità di agenti patogeni. La Fiom Cgil ha sempre considerato quelle che sovente sono definite “morti bianche” veri e propri omicidi sul lavoro. Le strutture territoriali tarantine del sindacato Fiom Cgil, in quasi venticinque anni di contenzioso legale hanno visto riconoscere da un lato, nei confronti delle imprese, cospicui risarcimenti del danno differenziale a favore delle vittime del lavoro e dall’altro, nei confronti dell’Inail, centinaia di malattie professionali, tra le quali segnaliamo, sul fronte delle neoplasie: mesoteliomi, carcinomi polmonari, della laringe e asbestosi; carcinomi renale, dello stomaco, della vescica, dell’intestino, della prostata; leucemie e linfomi.
Gli ambienti di lavoro e tutta la città di Taranto, come si è avuto modo di appurare ufficialmente – ma nelle aule della sezione lavoro del tribunale ciò era ben noto da tempo - nei recenti accertamenti probatori disposti dalla procura, sono difatti pregni di fibre di amianto, idrocarburi policiclici aromatici, diossina, ammine aromatiche, cadmio, metalli pesanti e veleni di ogni genere che costituiscono fattori di rischio specifico per l’insorgenza di tumori.
L’intuizione della Fiom è stata quella di proclamarsi persona offesa dal reato ogni qual volta fosse avviato un processo per la morte di un lavoratore: la Fiom ha difatti tra i propri scopi istituzionali, debitamente enunciato all’art. 2 del suo statuto, quello di promuovere la sicurezza del lavoro .
Il Tribunale di Taranto è stato tra i primi a riconoscere il diritto del sindacato alla partecipazione nel processo penale anche a tutela dei lavoratori non iscritti: desideriamo rammentare l’ordinanza del GUP di Taranto dr. Pompeo Carriere dell’11/5/2009, R. Gip 6392/08, con la quale sono stati rinviati a giudizio i più importanti manager della siderurgia pubblica nazionale ed i direttori dello stabilimento siderurgico di Taranto che si sono succeduti dalla fine degli anni sessanta alla prima metà degli anni 90, e l’ordinanza del GUP di Taranto dr. G. Tommasino n. 9968/09 R.P.M., 3390/10 R. GIP – quest’ultima anche riferita ai reati commessi dalla gestione privata dello Stabilimento di Taranto e dalla famiglia Riva - in quanto ritenuti responsabili del decesso di circa trenta lavoratori a cagione delle più varie neoplasie ascrivibili al mix di sostanze cancerogene che si sprigionano dagli impianti di Taranto. Riuniti i processi, si è pervenuti a sentenza di primo grado, recentemente confermata dalla Corte penale di Appello di Taranto con sentenza depositata il 19/9/2017, salvo numerose assoluzioni dai reati minori per prescrizione e qualche assoluzione anche nel merito, per gli amministratori che avevano gestito l’azienda per un periodo temporale ritenuto insufficiente a determinare gli eventi.
Ancora indichiamo altro importante processo recentemente definitosi in sede di appello con il riconoscimento delle istanze risarcitorie di Fiom Cgil, costituita parte civile: il giudizio si avvia con la ordinanza resa dal Tribunale Monocratico di Taranto I Sez. Penale dr. Massimo De Michele, proc 5023 r.g. dib. del 9/6/2010 . Detto processo riguarda il decesso di un lavoratore per avvelenamento da gas di altoforno, ed è stato definito in primo grado con sentenza del 12/12/2012 depositata il 19/4/2013, che ha deciso la condanna di tutti gli imputati, dirigenti e preposti dell’ILVA Spa, nonchè della ditta appaltatrice CMT e subapplatatrice e SMI, dopo avere rigettato tutte le eccezioni degli imputati, anche afferenti a pretesi vizi di forma della costituzione di parte civile della Fiom Cgil, ritenuti insussistenti, ed ha accolto tutte le nostre conclusioni e deduzioni, pronunciando condanna dell’amministratore della subappaltatrice a due anni e sei mesi di reclusione e di tutti gli altri a due anni di reclusione. In favore della Fiom, costituita parte civile sin dalla udienza preliminare del 30/9/2009 e ritenuta portatrice degli interessi collettivi dei lavoratori alla tutela della salute e sicurezza del lavoro, è stato riconosciuto, a carico di tutti gli imputati, il risarcimento del danno, liquidato in provvisionale, oltre le maggiori somme che saranno accertate in separato giudizio dal Giudice civile e le spese di lite. La Corte di Appello di Taranto, con sentenza resa il 22/11/2017, ha confermato la sentenza di primo grado riducendo, tuttavia, nei soli confronti di uno degli imputati, la pena da due anni e sei mesi a due anni, ferme le statuizioni civili.
La Fiom Cgil ha caparbiamente sostenuto, con positivo riscontro delle sue ragioni, che in tutte le ipotesi in cui si verifica la morte di un lavoratore per colpa del datore di lavoro si realizza un “danno immediato e diretto” sofferto dal sindacato “concretizzatosi nella lesione del prestigio e della credibilità dello stesso, derivante dalla vanificazione del perseguimento e della realizzazione dei fini istituzionali propri di tale organismo collettivo, quali la tutela della salute e dell’integrità psico-fisica dei lavoratori”.
Possiamo senz’altro ritenere che il foro di Taranto abbia contribuito in modo decisivo ed autorevole a costruire l’orientamento giurisprudenziale che ammette estensivamente la costituzione del sindacato nei processi penali per infortunio o malattia professionale e che la Fiom sia stata protagonista e perseverante nella proposizione di tutte le istanze di tutela dei lavoratori.
Nel più noto processo per disastro ambientale a carico dei manager Ilva e protagonisti della politica, pendente in sede dibattimentale dinanzi alla Corte di Assise, la Fiom è costituita parte civile a tutela dell’interesse collettivo, quindi personalmente come associazione, ma anche a tutela dei diritti individuali, giacchè rappresenta quasi cinquecento lavoratori nel processo. Il processo prosegue con un incalzante ritmo di udienze per la escussione di centinaia di testimoni addotti dalle parti.
Ieri un segmento importante di quel processo si è però definito in appello con sentenza che ha confermato quella già resa in primo grado.
Si tratta dell’appello proposto, per ciò che concerne la posizione processuale della Fiom, dall’imputato Primerano, a seguito della condanna per il reato di falso ideologico emessa in primo grado in sede di giudizio abbreviato, per la redazione di due perizie, una del 2009 e l’altra del 2010.
L’imputato era stato nominato perito della Procura di Taranto, insieme al prof. Liberti, per accertare se la diossina emessa dall’Ilva avesse effettivamente avvelenato acque, terre ed animali.
Le sue conclusioni smentivano tale ipotesi, ma affidato l’incarico ad altri periti, anche alla luce di alcune intercettazioni ambientali sul prof. Liberti, che, nelle ipotesi accusatorie, rileverebbero alcuni contatti sospetti tra il Liberti e un funzionario dell’Ilva, come è noto, le risultanze peritali avevano concluso per la colpevole realizzazione del disastro ambientale.
La Corte di Assise di Appello di Taranto, con sentenza resa il 30/11/2017, ha sostanzialmente confermato la condanna del Primerano, assolvendolo dal concorso nel disastro ambientale che la Procura riteneva avesse concorso a determinare ritardando gli accertamenti, ma riconoscendolo colpevole del reato di falso ideologico, con pena ridotta ad un anno di reclusione per la prescrizione dell’illecito in relazione al primo elaborato.
I Giudici di Taranto, dunque, accertando anche in sede di impugnazione la falsità delle conclusioni rassegnate dal perito, forniscono un importante e forse decisivo precedente negli sviluppi del troncone principale del processo Ilva, giacchè ne esce indubbiamente rafforzata la ipotesi accusatoria supportata dalla perizia che, contrariamente a quella redatta dal Primerano, aveva accertato la riconducibilità delle emissioni nocive alla Stabilmento Siderurgico di Taranto.
La Fiom, dunque, continua a garantire con i suoi avvocati i presidi di tutela giudiziaria della salute di lavoratori e cittadini.
Avv. Massimiliano Del Vecchio
Taranto, 1 dicembre 2017