Egregio direttore, è solo grazie a Francesco Russo e al suo giornale («Giallo stabilizzazioni alla Fiat.
La Fiom: «A Melfi 100 in meno», La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 luglio 2015) se la pubblica opinione è venuta a conoscenza delle motivazioni che hanno indotto la Fca di Melfi a lasciare a casa decine di lavoratori interinali dopo un lungo periodo di lavoro.
Trascrivo il virgolettato: «Le mancate conferme sono solo 69 su 1550 lavoratori, pari al 4,5% del totale. Questo tra l’altro - aggiungono dalla Fiat Chrysler Automobiles - dipende dalla normale selezione sulla base della idoneità del personale». Quando in una terra martoriata dalla disoccupazione 69 persone (prendiamo per buono il dato che fornisce la Fiat in attesa di verifiche più precise) vedono infrangersi il sogno di un lavoro stabile (per come potrà esserlo ai tempi del jobs act), credo non sia giusto accontentarsi di una scarna battuta, anche se la stessa contiene un paio di informazioni sulle quali vorrei soffermarmi.
Trovo terribilmente cinico ridurre 69 persone ad una percentuale, il 4,5% del totale.
Dietro a quel 4,5% ci sono nomi, volti, storie. Vite. Dietro quel 4,5% ci sono Donato, Francesca, Giuseppe, Carmela. Ragazze e ragazzi he hanno toccato il cielo con un dito quando hanno conosciuto la persona giusta che poteva favorirne l’assunzione da somministrati in Fca e che, consapevoli della difficoltà del momento, si sono sottoposti a lunghi viaggi per andare a lavorare; a turni massacranti affrontati con zelo per il timore di non essere confermati; a straordinari, oltre i venti turni, senza batter ciglio e senza nemmeno provare a capire se le esigenze della produzione ledevano qualche residuo diritto. Donato, Francesca, Giuseppe, Carmela hanno pensato che chinando la testa avrebbero avuto un futuro in fabbrica. E, invece, dopo mesi di duro lavoro (perché, per chi lo avesse dimenticato, il lavoro alla catena di montaggio è più duro di quanto si possa immaginare, soprattutto nella «moderna» Fca), non hanno superato la normale selezione sulla base dell’idoneità del personale.
Per il rispetto che si deve alla vita delle persone, è lecito chiedere in cosa consiste, caso per caso, la normale selezione sulla base della idoneità del personale? Quali sono i criteri che la informano? Quali i livelli di oggettività formale? Se non si risponde, puntualmente, nelle sedi e nelle modalità giuste, a queste domande si corre il rischio che prerogative dell’azienda, quali la selezione del personale, si trasformino in atti arbitrari. E che il rapporto di lavoro, spogliato di diritti e di trasparenza, regredisca a livelli servili. O è esattamente questo che si vuole?
* segretario regionale Fiom Cgil