Assemblea nazionale delle delegate e dei delegati Fiom-Cgil alla salute e sicurezza sul lavoro
Padova, 5 aprile 2019
Secondo l'OIL (l'Organizzazione Internazionale del Lavoro): 2,78 milioni di lavoratori muoiono ogni anno nel mondo a causa del lavoro e di questi 400.000 circa per infortuni e quasi 2,4 milioni per malattie, inoltre 2 milioni di lavoratori, perlopiù minori subiscono infortuni a carattere invalidante.
Inoltre il NIOSH (l'Agenzia per la prevenzione e il controllo delle malattie negli USA) ha stimato tra 26.000 e 72.000 i decessi di lavoratori che avvengono ogni anno negli Stati Uniti per malattie professionali perlopiù a carattere tumorale o per cardiopatie.
In Europa, Eurostat l'anno scorso ha pubblicato i dati riferiti al 2015, ultimo dato disponibile, che ci mostrano come si siano verificati 3.497 infortuni mortali di cui 1/3 solo in Italia, con oltre 2 milioni di infortuni con un aumento del 10% e inoltre 200.000 lavoratori che muoiono ogni anno per patologie correlate al lavoro, di cui oltre la metà è causata da tumori di cui la gran parte causati per l'esposizione all'amianto.
L'OSHA (l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro) fa poi notare che le malattie psicosociali (lo stress e il disagio psichico) colpiscono il 30% dei lavoratori e insieme agli infortuni con danni permanenti nel fisico rappresentano per chi ne è colpito anche un motivo di deterioramento della posizione di carriera e anche uno spaventoso isolamento sociale.
In Italia per effetto della violazione continua da parte delle imprese delle norme sulla sicurezza sul lavoro e di una effettiva tutela della salute dei lavoratori abbiamo un aggravamento significativo dei dati del 2018 rispetto al 2017. Viene evidenziato un + 10% di infortuni, un +10% di lavoratori morti sul lavoro, un + 2,5% di patologie professionali denunciate.
E' un bollettino di una guerra spaventosa a carattere nazionale, europea e mondiale!
Sono dati che ci riportano a rileggere “ Il Tallone di ferro” uno splendido romanzo di Jack London che racconta di un lavoratore che perde un braccio in una filanda della Inghilterra della nascente industria, nell'800, afferrato da una macchina, di notte, dopo molte ore di lavoro, gravato dalla fatica e dalla stanchezza. E’ un romanzo scritto oltre un secolo fa ma che purtroppo è ancora attuale nella modernità dell'oggi.
Certo ci sono stati miglioramenti normativi nel campo della tutela della salute sia nell'organizzazione del lavoro che negli ambienti lavorativi, ma sono sempre stati frutto delle lotte e rivendicazione dei lavoratori mai come autonoma volontà delle imprese. Di fatto il sistema di produzione capitalistico continua a voler riproporre gli stessi rapporti e condizioni di lavoro di un secolo fa, anzi aggravandoli.
Certo in generale sono migliorate le condizioni di salute delle popolazioni e le speranze di una aspettativa di vita più lunga sono aumentate, ma non per tutti perché pesano diversamente le condizioni di vita e di lavoro di ciascun individuo e soprattutto pesano le sempre più ampie diseguaglianze sociali.
E' ormai accertato, come dichiara l'Istat, che i lavoratori dell'industria mediamente hanno una aspettativa di vita inferiore di 5 anni rispetto al resto della popolazione.
La perdita dei diritti acquisiti nel lavoro, la perdita di salario, il venir meno del rispetto dei lavoratori come persone, l'insicurezza del lavoro e nel lavoro, gli aumenti dei carichi e dell'intensità lavorativa, la mancanza di soddisfazione e di vera e propria felicità nel lavoro che si fa, gli aumenti dell'alienazione mentale, la diffusa precarietà sociale e lavorativa che ha pervaso come una terribile cellula tumorale ogni aspetto della vita, riducono le aspettative di vita di chi lavora. Dunque sono determinanti e prevalenti per lo stato di salute queste cattive condizioni e non quelle che le imprese enfatizzano come le ragioni primarie che determinano lo stato di salute e cioè le condizioni ambientali, gli stili di vita dei lavoratori, le loro abitudini alimentari. Sono le condizioni lavorative che determinano lo stress e la conseguente alterazione genetica che porta alla malattia.
Per modificare questa situazione si deve rompere l'idea che la salute e la sicurezza di chi lavora in un sistema economico e produttivo considerato ormai come non modificabile, oggi come ieri e come potrebbe esserlo anche domani, debba essere sempre subordinata alla realizzazione del massimo profitto.
Come scriveva Luciano Gallino, le imprese per risparmiare sui costi non predispongono le adeguate misure per prevenire gli incidenti e le malattie, così rappresentando in maniera chiara che esiste la lotta di classe nei luoghi di lavoro perchè l'obiettivo del capitale è il raggiungimento del maggiore profitto a tutti i costi anche contro il rispetto della vita di chi lavora.
Sono inaccettabili le idee di quegli imprenditori che dichiarano senza vergogna, giustificando cosi i propri comportamenti, che gli infortuni sono il prezzo inevitabile da pagare per accrescere la produttività e i profitti e che, a fronte di un mondo fortemente concorrenziale, questi sono i rischi che si devono correre.
Anche i vari governi succedutisi in questi 20 anni nel nostro Paese, e non solo l'ultimo, hanno condiviso questa logica che rappresenta bene l'ideologia con la quale si intendono regolare i meccanismi di produzione e riproduzione dei rapporti sociali.
Il venir meno dei diritti sul lavoro, la crescita della precarietà lavorativa, la mancanza di una vera cultura che difenda il benessere delle persone che lavorano, non sono però problemi presenti solo in Italia ma si inseriscono nel più ampio contesto della rottura in tutta l'Europa del patto sociale nato alla fine dell'ultima Guerra mondiale con lo smantellamento progressivo dei servizi pubblici per tutti, mettendo così in discussione gli equilibri nelle società emerse nel dopoguerra, fondate certo su idee liberali ma che comunque affermavano il valore del welfare universalistico.
Il capitale pervicacemente con una chiara scelta ideologica e politica cerca di impoverire le persone e di cancellarne i loro diritti per avere sempre forza lavoro a basso costo.
Oggi i nuovi poveri sono sempre più quelli che hanno un lavoro, in Inghilterra sono ormai il 60%.
Indebolire le persone, impoverendole, esponendole al rischio per la vita, ricattandole mentre lavorano produce così la rottura di quell'equilibrio sociale su cui si è realizzato negli anni l'unità e la solidarietà tra le persone. Oggi si afferma come idea e criterio generale che regola la società, l'esclusione dei più deboli e si consolida l'APOROFOBIA e cioè il disprezzo ma anche la paura per la presenza dei deboli, compresi i lavoratori.
Le caratteristiche degli infortuni ci fanno ben capire che avvengono mai per il “caso” ma per precise scelte o non scelte che rappresentano bene i ragionamenti fin qui fatti.
Le cause più comuni degli infortuni sono le modalità operative non idonee, gli errori nelle procedure di sicurezza, la formazione carente o totalmente assente, gli ambienti di lavoro non idonei, l'illuminazione carente, l'assenza della delimitazione dei percorsi e delle aree di sicurezza, la mancanza di segregazione di zone pericolose, gli utensili, le macchine, gli impianti che non rispettano gli standard di sicurezza. Molte di queste cause sono le stesse che originano le malattie, per esempio quelle muscolo scheletriche a causa di postazioni lavorative progettate senza tener conto dei vincoli ergonomici.
Il lavorare in sicurezza o meno, in salute o no è la conseguenza dell'organizzazione del lavoro e del modo di lavorare imposto dal sistema capitalistico.
L'organizzazione del lavoro risponde solo a problemi di accrescimento della produttività e della redditività dell'impresa che vengono sempre ricercati attraverso l'abbassamento del costo del lavoro, l'intensificazione dei ritmi, nei tempi ciclo, nell'aumento delle ore lavorate e non certo considerando il lavoro umano nella sua concretezza.
Le imprese per raggiungere questi obiettivi usano sempre l'arma della ricattabilità dei lavoratori specie se questi hanno contratti precari.
Decisiva è la nostra volontà e capacità di rimettere in discussione sia la realizzazione del profitto in un sistema produttivo e industriale basato solo sulla competizione fondata sull'abbattimento dei costi sia la stessa egemonia ideologica degli interessi di impresa elevati a valori universali.
Certo tutte le imprese, piccole e grandi sono fortemente influenzate da un mercato globale non governato e con contraddizioni rilevanti al suo interno che vengono scaricate sulle stesse imprese con effetti disastrosi sia sulla qualità dei prodotti che sulla condizione lavorativa: difettosità elevata dei prodotti, servizi scadenti, costi della produzione elevati e nascosti e diritti del lavoro che saltano. Il risultato è la perdita progressiva di lavoro, la precarietà del lavoro, la fragilità delle organizzazioni sociali, la scomparsa progressiva del significato ideale del lavoro.
Se il lavoro cambia anche l'impatto fisico, biologico, psichico che esso produce cambia. Una persona che non possiede il controllo del proprio lavoro e vive in uno stato continuo di precarietà ha uno stress elevato e un logorio psicofisico notevole.
Anche il rapporto lavorativo stabile può provocare uno stress acuto perchè sta aumentando sempre di più la domanda padronale di accrescimento delle prestazioni, con l'aumento dell'orario di lavoro e dei ritmi e carichi che viene però accettato dalle persone per la paura della disoccupazione o perché si pensa erroneamente di lavorare meglio in modalità smart working cioè senza i vincoli formali dell'orario lavorativo, che viene però scambiato con un aumento rilevante delle prestazioni.
Ormai è accertato che lo stress accumulato nel corso della vita crea una discrepanza tra l'effettiva età biologica e l'età cronologica, gli individui con una qualità della vita migliore e non certo chi lavora nell'industria hanno una età biologica inferiore di quella anagrafica.
Questa condizione lavorativa uguale nei suoi effetti, ma anche profondamente diversa dal passato, bisogna conoscerla bene per contrastarla.
Per agire efficacemente bisogna intervenire direttamente e puntualmente nei luoghi di lavoro facendo emergere le contraddizioni organizzative e i problemi, trasferendo ai lavoratori l'effettiva consapevolezza sulla situazione e su questo costruire piattaforme rivendicative efficaci.
Se per le imprese l'obbligo è la velocità del mercato e la riduzione dei costi e dunque l'aumento dei ritmi, le tecniche e i metodi come la lean production, il WCM, dovrebbe però esserci anche per le stesse imprese la chiara consapevolezza che questo le impoverisce e le porta al fallimento se non viene contrastato e modificato.
Con questa velocità richiesta dal mercato è necessario ripensare il lavoro e l'organizzazione del lavoro in modo totalmente nuovo.
Bisogna che il sindacato, le Rsu, gli Rls con la contrattazione si impegnino e siano capaci di riconquistare la partecipazione al governo dell'impresa, cancellando l'unilateralità del comando, focalizzando il loro ruolo e funzione nei luoghi di creazione del valore e del lavoro, là dove ci sono le persone che progettano, producono, vendono il bene o il servizio.
Di conseguenza anche l'analisi del rischio lavorativo va governata e gestita nel suo evolversi continuo sulle postazioni, ma solo da parte di chi vi opera, viceversa il DVR è solo un simulacro di forma inutile e fuori dalla realtà se è definito, valutato da chi è fuori dal contesto produttivo. I problemi, i rischi e le loro soluzioni vanno perseguiti sulle postazioni da parte di chi vi opera e non fuori, a tavolino o sul computer. Deve essere riconquistata effettivamente la possibilità di parlare, di agire, di proporre da parte dei lavoratori.
I problemi vanno affrontati tutti assieme, in forma integrata e continua e non per specialismi.
Il grande tabù dell'intoccabilità del fordismo e poi dell'organizzazione toyotista deve essere affrontata e abbattuta concretamente per togliere gli alibi delle imprese e degli specialisti che dicono e rispondono sempre ai lavoratori e ai delegati con un “non si può fare”.
Se crediamo in questo impegno, se lo vogliamo, se siamo disponibili, se siamo coerenti troveremo, ne sono certo, anche la volontà dei lavoratori che saranno disponibili all'impegno in tal senso perché percepiscono l'inutilità di essere tritati, alienati in una vita e in lavoro senza senso.
I lavoratori sono pronti a migliorare i metodi lavorativi e operativi e sono capaci di apprendere ma anche di insegnare, se si costruiscono le volontà e le condizioni necessarie.
La formazione, l'apprendimento, l'insegnamento sono fattori indispensabili per andare in tale direzione ma vanno fatti sul luogo del lavoro, e non in una aula estranea.
Il nostro impegno è una sfida alle imprese, agli imprenditori che hanno messo la testa sotto la sabbia, e ai dirigenti che galleggiano e fanno i passacarte, si concretizza immediatamente già nella gestione degli orari di lavoro. Se si offre alle persone la possibilità di lavorare bene con una chiarezza degli obiettivi e degli scopi dell'impresa e del prodotto che si realizza non esiste il problema del cronometro. Se si vuole si può lavorare in sicurezza sia nell'interesse dei lavoratori che dell'impresa.
In Italia si lavora troppo, aumentano le ore lavorate e si lavora male, con scarsa produttività e non certo per colpa dei lavoratori. Ritmi, orari, carichi folli di lavoro, presenza di lavoratori anziani, di lavoratori precari, di appalto e subfornitura senza garanzie, di giovani lavoratori senza formazione, di migranti, in un contesto dove il lavoro ha perso di significato.
L'attuale è una direzione di marcia che tutti comprendono come sbagliata, di cui nessuno è convinto ma che si continua a percorrere perché non si vedono alternative; si dice che anche un capitalista illuminato come Adriano Olivetti oggi non avrebbe spazio e ruolo.
Dobbiamo dunque contrastare con determinazione questo contesto e questo quadro, svelandone l'imbroglio ai lavoratori, smentendo anche l'idea che le imprese stanno realizzando di scaricare sui lavoratori le responsabilità degli infortuni, causati dai loro errati comportamenti conseguenza anche di stili di vita sbagliati. Le imprese vogliono affrontare e risolvere il problema della sicurezza e della salute colpevolizzando i lavoratori anche attraverso processi formativi/persuasivi fondati sull'idea che solo la conquista di abitudini alimentari e igieniche consone eliminerebbero i rischi infortunistici e le malattie. Purtroppo e negativamente tale impegno persuasivo/formativo è finanziato da molte Regioni e dalla stessa Inail e viene sostenuto con regalie di welfare che dovrebbero accrescere il benessere generale dei lavoratori.
Una alternativa c'è, è possibile, si può realizzare, se noi tutti la vogliamo: si possono, si devono realizzare piattaforme finalizzate a rivendicare nei luoghi di produzione del valore quello che è utile, quello che serve, per fermare gli infortuni, le malattie, la morte delle persone, la morte del lavoro, la morte delle imprese.
Bisogna ricostruire una nuova stagione di contrattazione aziendale dove la tutela della salute sia centrale nella rivendicazione e non un allegato a parte perché se le imprese investono in innovazione tecnologica, nell'Industria 4.0 senza redistribuire la gestione dei processi, senza rivedere le procedure, l'organizzazione del lavoro e il modo di lavorare, tale che sia più efficace ma anche più umano si fa della pura illusione competitiva e della demagogia; i lavoratori, ma anche noi non lo possiamo e dobbiamo permettere.
Bisogna impegnarsi tutti per valorizzare le attitudini personali, e professionali di ciascuna persona, mettendo in luce le conoscenze implicite che ogni lavoratore possiede, valorizzando il loro sapere, riconsegnandogli la autonoma parola e protagonismo, cosa purtroppo del tutto assente nell'accordo per il rinnovo del contratto in FCA che la Fiom non ha firmato. Muoversi in questa direzione per una impresa può significare superare utilmente le angustie del mercato, innovandosi appieno e riappropriando di una dimensione motivata, umana, il lavoro, utile ai lavoratori, alla stessa impresa stessa ma anche al Paese, per bloccare l'involuzione sui diritti e la assenza di futuro.
Il nostro impegno deve essere quello di contrastare chi guarda a una società senza diritti per le persone e per chi lavora, che vuole riportarci all'inizio della nascita dell'industria, a due secoli fa.
Noi rappresentiamo i lavoratori, il bene più prezioso di questo Paese. Lavoratori che riunificando i loro interessi particolari si liberano delle proprie catene ma nello stesso tempo le liberano a tutti.
Bisogna difendere strenuamente tra le persone, tra i lavoratori quei valori e quei princìpi che sono oggi aggrediti da una cieca volontà ideologica.
Bisogna impedire che siano impoverite le persone perché solo così si potrà dare piena attuazione all’idea che si affermò nel 1947 al momento della costituzione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità dove venne dichiarato che si garantisce lo stato di salute degli uomini e delle donne non solo nell'assenza di malattie ma nell'affermazione di un benessere generale.
Difendere il SSN e un sistema di cure e prevenzione pubblico e universalistico vuol dire costruire il più forte baluardo contro la disgregazione sociale di un tessuto sempre più fragile e con un sempre più diffuso disprezzo per i deboli.
I lavoratori si ammalano di più perché sono malati di diseguaglianze.
Sento che non possiamo sfuggire all'obbligo di contrattare la salute in ogni luogo, in ogni condizione ma questo non basta se nel contempo se non si ricostruisce un orizzonte culturale, istituzionale e di governo che rimetta al centro il valore della prevenzione.
Il Parlamento e il governo accolgano e facciano diventare norme quanto definito nel “Patto della fabbrica” firmato a dicembre da Cgil Cisl Uil e Confindustria per modificare la “governance” dell'Inail togliendo quell'autonomia autocratica dalle mani della dirigenza dello stesso istituto, che si fonda sullo scambio tra la totale autonomia dei comportamenti degli stessi e sulla capacità degli stessi di realizzare l'attivo di bilancio di più di un miliardo all'anno per poi passarlo al Ministero dell'Economia. Attivo che si realizza per i mancati riconoscimenti delle malattie professionali, per i bassi indennizzi per gli infortuni, per le mancate costituzioni di parte civile nei confronti di dirigenti e imprenditori andati in giudizio per le morti dei lavoratori. Mantenere questa situazione, di fronte al drammatico quadro degli infortuni, delle malattie che colpiscono i lavoratori è una assoluta vergogna che deve essere cancellata. Si deve realizzare un forte e incisivo impegno affinché l'Inail diventi uno strumento essenziale nell'affermazione della prevenzione.
In tale direzione il governo deve ritornare sui suoi passi rispetto all'impegno di ridurre i costi per le imprese riducendo i premi assicurativi pagati all'Inail per 410 milioni di cui un terzo pagato con un minor impegno dello stesso ente per la formazione dei lavoratori per la prevenzione.
Il Parlamento deve essere impegnato per far decadere quanto prima la norma prevista dal governo che impedisce la richiesta risarcitoria di un lavoratore per un infortunio o una malattia avvenuti per responsabilità di un imprenditore quando questa ecceda l'indennizzo Inail.
Pur nel profondo rispetto del ruolo e della funzione della magistratura non possiamo immaginare che venga accettata fra qualche settimana dal Tribunale di Milano la richiesta di patteggiamento della pena a solo 1 anno e mezzo e che sarà comunque sospesa, per l'imprenditore responsabile della morte di 4 lavoratori alla Lamina solo perché ha risarcito i famigliari dei lavoratori morti. Sarebbe un principio devastante: un imprenditore anche se è responsabile ed è condannato per gli infortuni, le malattie, i morti causati non espierà mai la pena perché ha indennizzato i famigliari.
Si devono realizzare le condizioni per una vertenzialità diffusa in tutte le regioni con l'obiettivo di ricostruire le strutture di prevenzione nelle Asl che dappertutto stanno deperendo per la mancanza di finanziamenti appropriati utili a ricostituire i vuoti di organico e i percorso formativi per gli operatori.
C'è la necessità non più rinviabile di lanciare una piattaforma e una vertenza nazionale fondata sull'alleanza tra le categorie coinvolte e più esposte insieme alle confederazioni e alle migliori persone dei servizi di prevenzione e della stessa Inail.
Per fare questo serve anche un sindacato migliore e più efficace di quanto siamo oggi.
Vogliamo essere inclusivi? Coinvolgere nella tutela della salute i senza diritti i giovani i migranti, tutelare chi opera negli appalti. Che aspettiamo a realizzare gli RLS di SITO, gli RLST dappertutto, come inizio di un percorso?
Che aspettiamo a dare continuità e forza all'impegno unitario sulla tutela della salute, ricostruendo un impegno comune con Fim e Uilm? Vogliamo superare o no gli egoismi di appartenenza, di RSU, di categoria, di confederazione?
Che aspettiamo a realizzare le condizioni affinché tutte le RSU e non solo gli RLS siano impegnati nella tutela della salute? Impegnandoci a proseguire nella formazione per arricchire nelle competenze tutti, compresi i dirigenti delle strutture.
Tutelare la salute dei lavoratori vuol dire continuare a batterci per i diritti e per una condizione di lavoro e di vita migliori, questo è il sindacato, questo è l'impegno che tutta la Fiom deve continuare e confermare.