Indagine sugli Rls in merito alla valutazione del rischio stress
Come sapete, a novembre del 2010 la Commissione Consultiva permanente del Ministero del Lavoro per la salute sicurezza del lavoro ha deliberato le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato.
A vari anni di distanza, l'esito di tale rilevazione - che in molti casi non è stata nemmeno effettuata - sembra essere, almeno in via ufficiosa, tutt'altro che credibile. Il rischio stress interesserebbe una percentuale risibile di imprese italiane, a quanto si dice, appena il 3%, contro una media europea del 27%.
Questo dato - evidentemente non credibile - conferma le critiche che facemmo a suo tempo circa i metodi di svolgimento della valutazione, in particolare rispetto al ruolo degli Rls, che secondo noi avrebbero dovuto essere non meramente consultati ma attivamente partecipi nelle diverse fasi.
È oggetto di questo tema una indagine che ha coinvolto i nostri Rls, promossa mesi fa dalla Fiom insieme alla Fondazione Trentin - Ires. Gli Rls, interrogati tramite un questionario sullo svolgimento della valutazione ufficiale nelle loro fabbriche (online e distribuito al Congresso), confermano che, laddove pure è stata fatta, loro non sono coinvolti se non in minima parte e gli esiti finali di fatto negano o quasi l'esistenza del rischio stress nelle fabbriche metalmeccaniche italiane.
I risultati nel dettaglio saranno presentati a breve. Ci limitiamo a queste poche anticipazioni e a una valutazione di fondo in rapporto a quelli che furono i dati dell'inchiesta sulle condizioni di lavoro che la Fiom promosse prima della crisi, nel 2007, con il coinvolgimento di ben 100mila lavoratori e lavoratrici.
Quella inchiesta - statisticamente attendibile proprio per la mole di questionari compilati - parlava inequivocabilmente di una condizione di profondo malessere nelle fabbriche, in particolare su quegli aspetti che più direttamente sono correlati al cosiddetto "rischio stress", come l'organizzazione del lavoro, la salute e la sicurezza, i rapporti all'interno dei posti di lavoro.
I dati dell'inchiesta Fiom del 2007
Soltanto per citare alcuni dati, ricordiamo che la maggior parte degli intervistati dichiarava che il lavoro era ripetitivo (65%) e molto parcellizzato (con atti e movimenti ripetitivi inferiori ai 30 secondi), monotono (53%) e con ritmi di lavoro elevati (51%), dettati soprattutto da obiettivi di produzione, ma spesso anche dalla velocità di una macchina e dal controllo dei capi. I margini di autonomia reale - soprattutto per gli operai ma in parte anche per gli impiegati - risultavano essere molto ridotti, tanto che un operaio su quattro (24,4%) dichiarava di non poter fare una pausa quando ne sentiva il bisogno.
Pur fortemente ripetitivo, il lavoro comportava comunque il rispetto di procedure di qualità (87%), l’auto-valutazione della qualità (73,4%), la soluzione autonoma di problemi imprevisti (67,2%), l’apprendimento di nuove nozioni (64,5%). Elementi questi che non cambiavano
nella sostanza i contenuti del lavoro, ma lo rendevano semmai più stressante, determinando un aggravio di responsabilità nello svolgimento del proprio che si sovrapponeva - ma non si sostituiva - a una organizzazione del lavoro tradizionalmente taylorista, con tempi e ritmi dettati dalle macchine.
I dati sull’ambiente fisico parlavano poi di condizioni di lavoro faticose, disagiate e rischiose:
le operaie e gli operai dichiaravano, infatti, di essere largamente esposti a rumori molto forti (56,5%), vibrazioni (50,3%), vapori polveri e sostanze chimiche (43,3%), movimenti ripetitivi di mani e braccia (68%) e posizioni disagiate che provocano dolore (32%). Una parte consistente denunciava anche che nel proprio lavoro riteneva essere molto alto il rischio di farsi male (20%), fare male ad altri (12%) e contrarre malattie (17,3%).
Così, anche dopo pochi anni di lavoro, circa la metà degli operai - e soprattutto le operaie - già pensava che la propria salute fosse stata compromessa a causa del lavoro (40%) e già la maggior parte di loro (60%) riteneva che non ce la avrebbe fatta a svolgere lo stesso lavoro di oggi al raggiungimento del traguardo dei 60 anni, poi peraltro ancora allontanato dalla legge Fornero. I disturbi che venivano denunciati più spesso erano quelli muscolo-scheletrici (il 40,2% dichiarava dolori alla schiena; il 34,2% a spalle e collo; il 30,8% a braccia e mani;
il 25% alle gambe). Il 23,5% aveva problemi di udito, il 27,8% denunciava tensione e stanchezza, ma anche irritabilità (21,5%), ansia (19%), insonnia (14,2%) e dolori allo stomaco (12%). Colpiva il dato clamoroso delle operaie dello stabilimento Fiat di Mirafiori: il 25% di loro - cioè una su quattro! - dichiarava di avere problemi di insonnia.
Anche i dati sui rapporti sociali dentro i luoghi di lavoro - prima della riforma dell'art.18 - non erano migliori. Le risposte testimoniavano un sistema di carattere tradizionale, dove le gerarchie si traducevano spesso in autoritarismo e discriminazioni, soprattutto al Sud e nelle grandi imprese (dove circa il 20% degli operai aveva subito intimidazioni), ma anche tra i più giovani e - soprattutto - tra i migranti. Tra questi, una parte consistente rispondeva di aver ricevuto provvedimenti disciplinari (11,4%) e aver subito intimidazioni (20%), ma anche discriminazioni legate alla nazionalità (27,6%) e all’etnia o alla razza (21,7%).
Non credibili gli esiti della valutazione ufficiale del rischio stress
Da allora sono passati sei anni di crisi. Le condizioni di lavoro non sono certo migliorate, perché sono stati ancora meno gli investimenti delle aziende nell'innovazione e nella sicurezza e, a causa anche delle riforme passate in questi anni, è aumentato per tutti il senso di incertezza e la ricattabilità all'interno dei posti di lavoro.
Se già nel 2007 l'inchiesta della Fiom restituiva una fotografia del mondo del lavoro metalmeccanico così fortemente esposto al "rischio stress", difficile - impossibile - pensare che oggi la situazione possa essere migliorata e che le aziende metalmeccaniche - proprio durante la crisi - abbiano investito a tal punto sull'organizzazione del lavoro, sulle condizioni ambientali e sulla sicurezza da eliminare o quasi il rischio stress per i loro dipendenti.
Basterebbe questo per dire che non è verosimile che la valutazione ufficiale sul rischio stress abbia accertato un rischio così basso - quasi inesistente - di stress nelle fabbriche italiane.
Molto più probabile è che semplicemente la valutazione del rischio stress sia stata fatta in modo tale da non fare emergere le reali condizioni di lavoro. Guarda caso, secondo l'indagine della Fondazione Trentin sui nostri Rls, i pochi episodi in cui la valutazione del rischio stress maggiore è stato il coinvolgimento del Rls nella rilevazione. Non è un caso che ben il 62% degli Rls che hanno svolto la valutazione del rischio stress si dica insoddisfatto dalla stessa.
Se riproponessimo oggi le stesse domande del 2007 e lasciassimo come allora che a rispondere siano direttamente i lavoratori e le lavoratrici, in modo anonimo e non tramite mano del proprio Rspp o del proprio caporeparto o di chiunque nominato dall'azienda come è stato nella valutazione del rischio stress, è davvero poco probabile che ci troveremmo di fronte agli stessi incredibili (nel senso letterale di non credibili) esiti della valutazione ufficiale, la sola in Europa per la quale il rischio stress nelle fabbriche metalmeccaniche semplicemente non esiste.
UFFICIO STUDI FIOM NAZIONALE
Eliana Como
UFFICIO SALUTE E SICUREZZA FIOM NAZIONALE
Maurizio Marcelli
Roma, 2 dicembre 2014