22.300 imprese chiuse dal 2008 al 2014, il 5% del totale. E' il costo che il Veneto ha pagato all'ultima crisi economica, un salasso che ha la sua ricaduta umana nei numeri della disoccupazione: dal 2008 al 2013 sono stati persi 120.000 posti di lavoro, lo scorso anno il saldo è meno 13.000 unità. La gran parte delle perdite si registrano nel settore industriale. Sono cifre che affondano le radici nella natura stessa del modello nord-est, quello che ai “tempi d'oro” della svalutazione competitiva della lira aveva costruito il mito della “locomotiva veneta” che trainava tutt'Italia al ritmo del “piccolo è bello”, della proliferazione di tante micro-imprese sottocapitalizzate - spesso a conduzione familiare – con la frantumazione di un ciclo produttivo a basso valore aggiunto e una competizione fatta soprattutto a scapito del lavoro, nella compressione del suo costo, delle sue condizioni e dei suoi diritti. Quel modello in tempi di crisi ha mostrato il rovescio della propria medaglia. Con esiti funesti che perdurano nel tempo. Perché i costi economici e sociali, il Pil fermo per anni e la disoccupazione in crescita, non sono stati nemmeno “compensati” da alcuna riflessione autocritica, tanto meno da un'inversione di tendenza in politica industriale (latitante) e un diverso uso degli investimenti. Passata la tempesta il “piccolo è bello” è diventato semplicemente più piccolo e meno bello, il panorama industriale si è rarefatto, pochi ne sono usciti rafforzati, più di qualcuno è sparito, molti sperano ora di risollevarsi; tutti sanno che senza un'inversione di tendenza (investimenti, modelli industriali, ragionamenti a lungo raggio) non sarà mai recuperabile ciò che è andato perduto.
E' in questo panorama, che i metalmeccanici hanno ricominciato a votare per eleggere le Rsu; nell'ultimo anno lo hanno potuto fare un po' più liberamente che nel recente passato, senze quote “riservate” e potendo scegliere tra tutte le organizzazioni. Un voto con un occhio alla crisi e alle sue conseguenze e l'altro alla credibilità dei sindacati e delle loro proposte. Il risultato è stato significativo, per partecipazione e scelte.
Da quando sono state “riaperte le urne” sindacali – cioè dal gennaio 2014 – nelle aziende metalmeccanche venete sono state rinnovate 410 Rsu: 55.000 gli aventi diritto, più di 35.000 i votanti, 1.437 i delegati eletti. Significa che più di un quarto dei metalmeccanci veneti (che in tutto sono 199.000) sono stati coinvolti in queste elezioni, un dato indicativo di una tendenza perché siamo ben oltre il 50% delle aziende sindacalizzate, quelle in cui i lavoratori eleggono una loro rappresentanza. Quanto ai risultati di lista, il discorso è molto semplice: la Fiom è largamente in testa con più di 23.500 voti pari al 67,4%, ed ha eletto 1.004 delegati. Molto staccata la Fim – 26,6% - quasi inesistente la Uilm – 4,5% - mentre altri sindacati non sono andati oltre l'1,5% dei consensi. Nelle fabbriche in cui si è votato la Fiom ha 6.600 iscritti, il che significa che nel voto il suo consenso si moltiplica quasi per quattro.
I risultati per la Fiom sono abbastanza omogenei e l'aumento dei consensi tocca un po' tutti i territori - in crisi o in crescita - e le principali realtà produttive. Alcuni esempi: Climaveneta Spa (Vicenza) dal 46% delle scorse elezioni al 55,3 di oggi; Laverda Spa (Vicenza) dal 30,2 al 40,5%; Fiamm (Verona) dal 68,3 all'84,7%; Everel (Verona) dal 50,2 al 78,7%; Alcoa di Fusina (Venezia) dal 46,9 al 50,5%; Drahtzug Stein (Venezia) dal 48 al 54,1%; Carel (Padova) dal 75 all'86,6%; Carraro Drive Teck (Padova) dal 54,4 al 59%.
Luca Trevisan, segretario generale della Fiom veneta, non nasconde la sua soddisfazione: “E' un risultato senz'altro positivo, ottenuto oltretutto nel pieno di una crisi che qui ha colpito a fondo e in una regione da sempre segnata dal predominio politico prima della Dc, poi di Forza Italia e ora della Lega e sindacalmente tradizionale roccaforte della Cisl. In questi anni così difficili e nonostante l'emorragia occupazionale la Fiom non ha perso iscritti e ha aumentato i propri consensi nelle fabbriche, nonostante i pesanti attacchi e le discriminazioni cui siamo stati sottoposti. Abbiamo subito – continua Trevisan – un vero e proprio tentativo di limitazione del diritto di rappresentanza: in alcune imprese – anche importanti - con un'interpretazione restrittiva dell'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori hanno tentato di impedirci lo svolgimento delle assemblee e di non riconoscere i nostri delegati, perché non avevamo sottoscritto l'ultimo contratto nazionale di Federmeccanica. Poi quando le persone hanno potuto votare, la realtà della rappresentanza è stata ristabilita, come in Fincantieri dove tra gli operai siamo al 75% ed eleggiamo cinque delegati su sette. Naturalmente – conclude Trevisan – questo è un voto che ci carica di responsabilità, perché le lavoratrici e i lavoratori hanno riconosciuto alla Fiom la coerenza di chi difende i loro diritti e da noi si aspettano molto in un'epoca in cui sono attaccati dalle scelte politiche e d'impresa e colpiti dalla crisi economica”.
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