Indennizzo
L’indennizzo economico, cioè il pagamento di una somma in denaro, diventa la regola generale in caso di licenziamento. E, soprattutto, resta l’unica possibilità per i «licenziamenti economici», cioè quelli che dipendono dal cattivo andamento dell’azienda o del mercato. Finora il reintegro nel posto di lavoro da parte del giudice era possibile se in tribunale veniva accertata la «manifesta insussistenza del fatto» portata dall’azienda a sostegno del licenziamento economico. D’ora in avanti anche in questi casi l’indennizzo sarà l’unica strada. Si tratta di una somma certa, che azienda e dipendente potranno conoscere prima perché cresce con l’anzianità di servizio: due mesi di stipendio per ogni anno di lavoro. Lo stipendio usato per calcolare l’indennizzo sarà l’ultimo, comprensivo delle indennità che il lavoratore trova con regolarità in busta paga ma non dei rimborsi-spese. Il minimo saranno 4 mensilità, garantito anche a chi sarà licenziato dopo meno di due anni di lavoro. Il massimo, 24 mensilità, invalicabile anche per chi sarà mandato via dopo oltre 12 anni. In caso di azienda che subentri a un’altra in una fornitura, l’anzianità di servizio nuova si cumula con quella vecchia. Ma il contratto diventa «nuovo» con l’indennizzo come regola.
Reintegra
Il reintegro nel posto di lavoro da parte del giudice resta possibile, come già avviene adesso, per i licenziamenti discriminatori, cioè quelli decisi dal datore di lavoro sulla base di convinzioni politiche o religiose oppure per l’orientamento sessuale. Mentre il suo campo di applicazione si riduce di parecchio per i cosiddetti licenziamenti disciplinari, cioè quelli adottati sulla base del comportamento del dipendente. Qui la strada del reintegro resta possibile solo in un caso: quando in giudizio viene direttamente dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. L’azienda accusa di arrivare sempre in ritardo, ad esempio, ma le strisciate del cartellino del lavoratore dimostrano che non è così. L’onere della prova è a carico del dipendente. In tutti gli altri casi, invece, c’è solo l’indennizzo economico. L’accertamento del giudice non può riguardare l’eventuale sproporzione della sanzione del licenziamento rispetto al fatto contestato. Anche se dovesse considerare la punizione «esagerata», il magistrato non potrebbe disporre il rientro in azienda del lavoratore. In caso di reintegro, il dipendente deve riprendere servizio entro 30 giorni. Se rinuncia, può chiedere di «convertire» il reintegro in un’indennità pari a 15 mensilità.
Licenziamenti collettivi
Nelle nuove regole rientrano anche i licenziamenti collettivi, quelli che riguardano più dipendenti e che hanno come obiettivo la riduzione del personale. Finora era previsto un risarcimento da 12 a 24 mensilità in caso non venissero rispettate le procedure di comunicazione ai sindacati e il reintegro in caso di violazione dei criteri di scelta, come quelli che danno la precedenza nell’uscita a chi non ha figli o familiari a carico. Con il Jobs act il reintegro sparisce del tutto. In teoria resta possibile in caso di licenziamento collettivo «intimato in forma orale», ma è chiaro che si tratta di un’ipotesi al limite della fantascienza. L’indennizzo economico resta l’unica conseguenza possibile per gli altri due tipi di irregolarità: sia il mancato rispetto delle procedure di comunicazione sia la violazione dei criteri di scelta. L’indennizzo massimo resta fermo a 24 mensilità, mentre quello minimo scende da 12 a 4. Queste regole riguardano solo i nuovi assunti. In caso di licenziamento collettivo che dovesse comprendere dipendenti sia con il contratto a tutele crescenti sia con quello vecchio a tempo indeterminato, a questi ultimi si applicherebbero le regole vecchie, reintegro compreso. Un doppio binario non proprio facile da giustificare.
Disoccupazione
L'importo (massimo) sarà di 1.300 euro mensili e sarà erogato soltanto per i tre mesi successivi alla fine del rapporto di lavoro. Dal quarto in poi scenderà progressivamente del 3% ogni trenta giorni. L'indennità é corrisposta per un massimo di 24 mesi fino al 31 dicembre 2016 e per un massimo di 18 mesi a partire dal 1 gennaio 2017. La rivoluzione chiamata «Naspi» (nuova assicurazione sociale per l’impiego) comincerà il prossimo primo maggio. Sostituirà le attuali Aspi, mini-Aspi e l’una tantum prevista per i collaboratori assicurando, secondo le stime del governo, un sostegno a circa un milione e mezzo di disoccupati. Potranno beneficiarne i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato (solo con riferimento ai contratti a tempo determinato), mentre sono esclusi i lavoratori delle pubbliche amministrazioni a tempo indeterminato e gli operai agricoli perché si tratta di categorie giù tutelate dalla legge vigente. Per usufruirne sarà necessario aver versato almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti e aver svolto almeno 30 giorni di lavoro nei 12 mesi che precedono l’inizio della disoccupazione. Coloro i quali saranno in possesso dei requisiti dovranno inoltrare apposite domanda all’Inps per via telematica entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Sarà possibile richiederla in un’unica soluzione nel caso venga avviata un’attività autonoma.
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