La Piaggio, a seguito degli investimenti in India, Cina e Vietnam, è diventata, a tutti gli effetti, una fabbrica globale con oltre 7500 dipendenti nei vari stabilimenti nel mondo, di cui 3650 in Italia considerando anche Aprilia e Moto Guzzi.
Con la fabbrica globale, nell'epoca della finanziarizzazione dell'economia, il primo rischio è quello che le produzioni si spostino da uno stabilimento ad un altro mettendo in competizione i lavoratori tra di loro. La Piaggio nell'incontro di qualche mese fa ci aveva messo in evidenza del problema dei dazi e di come inizino a diventare un elemento di politica industriale.
Il mercato Usa per il gruppo Piaggio, in particolare modo per lo stabilimento di Pontedera dove si producono la vespa e gli scooter destinati all'America, qualora i dazi entrassero in vigore, anche se la produzione per quel mercato ha una incidenza percentuale bassa sul complesso della produzione, comporterebbe dei problemi perché da anni a Pontedera stanno lavorando in regime di contratti di solidarietà, cioè una riduzione generalizzata degli orari di lavoro.
Crediamo tuttavia che la Vespa debba essere prodotta a Pontedera. Ci convincono poco le soluzioni propagandate dall'azienda sul come aggirare gli eventuali dazi andando ad esportare in America la Vespa costruita negli stabilimenti in Vietnam. Il problema del gruppo Piaggio in Italia resta quello della saturazione degli impianti, del rilancio complessivo e nel produrre nuovi modelli innovativi. Per quanto ci riguarda non ci tireremo indietro nell'affrontare la sfida tecnologica e la robotizzazione degli impianti, fermo restando la garanzia occupazionale, ma la sfida vera resta la produzione di un' alta gamma di qualità.
Un ulteriore problema invece è rappresentato dalla Brexit, perché rischia di avere un impatto negativo pesante sulle vendite del mercato inglese.
Nelle aree asiatiche che hanno avuto un importante sviluppo vi sono già condizioni che denotano una specie di dazi e quindi la limitazione del libero scambio. Le barriere al commercio e l'incremento dei dazi e' vietato dall'organizzazione mondiale del commercio, tuttavia, oltre la metà dell'economia mondiale e' governata dalle multinazionali, e pensare che erano nate per scopi pubblici verso la metà del 700.
Le multinazionali che oggi spaziano nel mondo sono il prodotto di politiche pubbliche, poi la globalizzazione economica e la deregolamentazione hanno
indebolito la capacità di salvaguardare l'interesse pubblico, anche grazie alle varie leggi fatte dai governi contro i diritti dei lavoratori, le norme sull'ambiente, il diritto societario e sul commercio internazionale. Questi fattori hanno sicuramente facilitato le multinazionali alla ricerca del massimo profitto.
Riportare verso la loro origine le multinazionali vorrebbe dire rimettere anche al centro le teorie economiche fallimentari portate avanti in questi anni che sempre più hanno visto arretrare le condizioni dei lavoratori in tutti i paesi occidentali. La politica dei dazi non porterà da nessuna parte, creerà nel breve periodo qualche elemento di tensione commerciale, ma bisogna anche pensare a come riformare le grandi istituzioni internazionali e dare un indirizzo politico strategico alla stessa Europa. Ritorna di attualità, guardando al futuro, un obiettivo sindacale degli anni 70: come, dove, per chi produrre. Inoltre, anche nelle stesse comunità, più che mai nell'epoca della globalizzazione, si deve riflettere e vanno definite precise strategie territoriali e nazionali, anche per salvaguardare quel patrimonio di indotto che ruota intorno alla grande impresa e che sempre più viene messo in discussione. Per noi il lavoro è tempo di vita, elemento di emancipazione economica e sociale. Bisogna guardare al futuro, sapendo di dover lottare affinché vi sia un cambiamento anche di quelle regole che oggi stanno portando indietro le lancette della storia.
Massimo Braccini, coordinatore nazionale Fiom gruppo Piaggio
Firenze, 01.04.2017