L’intervento integrale di Maurizio Landini al XVII Congresso della Cgil a Rimini tenuto il 7 maggio 2014.
L’intervento è stato trascritto da Tommaso Cerusici.
http://www.inchiestaonline.it/lavoro-e-sindacato/maurizio-landini-per-una-riforma-democratica-e-trasparente-della-cgil/
Ho sempre pensato che l’unità della Cgil è la condizione per poter ottenere dei risultati.
Questo doveva essere un Congresso unitario – così era nato – e noi, la Fiom, avevamo lealmente scelto di lavorare, non a documenti contrapposti, ma a provare a fare un Congresso che permettesse di confrontarsi con i lavoratori, tra di noi, per ricercare davvero una strategia capace di affrontare tutte le trasformazioni che abbiamo di fronte e che ci stanno mettendo in difficoltà. Così non è. Così non è stato. Noi oggi stiamo, in realtà, celebrando un Congresso che, partito con lo spirito unitario, si conclude con una conclusione non unitaria.
Allora io penso che sarebbe ipocrita non affrontare il problema per come si presenta. Esiste una differenza che nasce dal Testo Unico. Io penso che l’unità c’è un unico modo per ricercarla: quella di discutere, discutere, discutere e di non stancarsi di provare a ricercarla attraverso la discussione. Quando ci sono delle differenze esplicite, si devono i fare i conti su come si affrontano e si gestiscono queste differenze, per provare a ricomporle.
Lo dico in modo molto semplice: le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici hanno votato in modo trasparente, certificato e, a grande maggioranza, hanno bocciato quell’intesa.
Noi, la Fiom, con loro ci siamo impegnati a batterci perché attraverso la contrattazione aziendale e nazionale – che è lo strumento di cui disponiamo e l’essenza del nostro compito sindacale – per trovare il modo di modificare e migliorare quel Testo su punti di fondo e su diritti di fondo: il voto dei lavoratori, la non sanzionabilità, la parità di diritti contrattuali, la libertà vera di tutte le organizzazioni sindacali, di qualsiasi natura e di qualsiasi genere.
Qui c’è un punto. Questo tema non è risolto in questo Congresso e non si risolve semplicemente richiamando altri voti in altre categorie. Questa è una differenza che c’è e il problema che si pone è come la gestiamo questa differenza e se mettiamo nelle condizioni, attraverso la contrattazione – cioè lo strumento che deve essere capace di affrontare i processi di cambiamento che sono in atto – di capire come si affronta e come non si affronta.
Questa situazione, io credo sarebbe poco saggio pensare di risolverla a colpi di maggioranza o non affrontando le diversità per quello che sono, nel rapporto con le lavoratrici e i lavoratori.
Aggiungo. Io ho sempre pensato e continuo a pensare che l’unità della Cgil, l’unità con gli iscritti e con i lavoratori che noi rappresentiamo, viene prima dell’unità con Cisl e Uil, anzi, è la condizione per poter ricercare una unità d’azione che oggi non c’è. Pensare invece di usare dei rapporti o un’unità d’azione in alcuni casi finta – e dirò perché – per non affrontare la discussione in Cgil è un errore strategico gravissimo.
Non vi nascondo – lo dico perché così l’ho vissuta – che quando ieri ho sentito qui il Segretario della Cisl Bonanni fare il paladino della democrazia, a me sono venuti i capelli dritti in testa! Perché è quella organizzazione sindacale lì che ha firmato con la Fiat un accordo che ha cacciato la Cgil fuori da quella fabbrica! È quel sindacato lì che dopo la sentenza della Corte Costituzionale ha rifirmato con la Fiat un accordo per impedire alle altre organizzazioni di discutere. È quella organizzazione lì che ha fatto i contratti separati, con la Confimi con la Federmeccanica. E uno viene qui a fare le lezioni a noi e addirittura – scusatemi la franchezza – noi non abbiamo problemi ad applaudirlo? Ma stiamo scherzando?
Lo dico non perché io penso che non ci sia bisogno di ricostruire un’azione unitaria nei luoghi di lavoro, ma perché l’unità la si costruisce se le lavoratrici e i lavoratori sono messi nella condizione di poter votare, di poter decidere e di poter affrontare in modo trasparente le diversità quando ci sono.
Questo elemento lo dico perché è un punto di fondo. Pensare che il Testo Unico, nella sua condizione, è la base di un nuovo modello sindacale, fondato su una logica di quel genere lì… credo proprio che non si vada da nessuna parte.
Anche qui lo dico con onestà: mentre ho apprezzato molte parti e alcuni punti della relazione, ho trovato anche dei punti che sinceramente non ho apprezzato.
Soprattutto non ho apprezzato il silenzio che c’è stato, nella relazione, sulla vicenda Fiat e sul significato di quella vicenda. Lo dico perché sono convinto che tutto parte da lì. Noi non siamo di fronte ad un’azienda che ha fatto un errore. Questo è il punto che forse rimane da continuare a discutere tra di noi. Siamo di fronte all’idea precisa di una modifica delle relazioni sindacali nel nostro Paese e all’idea del superamento, non solo del Contratto Nazionale, ma dell’idea che possa esistere la contrattazione collettiva come elemento di mediazione tra diversi interessi. Quando succede questo siamo alla cancellazione della soggettività del lavoro e della dignità delle persone che lavorano.
La partita non è ancora finita, non semplicemente perché adesso bisognerà discutere e ragionare sulle scelte che la Fiat sta facendo, ma vorrei dire a tutti che, nonostante il Testo Unico, nonostante gli impegni firmati anche da Confindustria, a Melfi – visto che lì qualche nuovo modello ci sarà e già a partire dai prossimi mesi ci sarà un livello di produzione – noi siamo di fronte al fatto che tutte le aziende dell’indotto (e sono aziende multinazionali) hanno disdettato tutti gli accordi aziendali e hanno già detto che se non si va all’applicazione, estendendo l’accordo Fiat anche a loro, escono dal Contratto Nazionale e vanno in un’altra direzione.
È un problema che abbiamo solo noi? O è un problema, in realtà, che indica una linea di messa in discussione dell’esistenza stessa della contrattazione collettiva?
Allo stesso tempo, penso anche alle vicende della Fiat e agli annunci che [Marchionne ndr] ha fatto in queste ore da Detroit, sempre con lo stesso meccanismo: fa degli annunci, chiama e ormai anche lì il sindacato è messo al livello degli analisti finanziari o di qualcun altro, semplicemente ti informa, perché tanto ha un accordo che può fare quello che vuole rispetto alla gestione dei processi produttivi.
Siamo, allora, di fronte ad un altro elemento di fondo. Qui vengo al rapporto con il Governo. Io penso che sia assolutamente utile, sono d’accordo che va riaperta una vertenza con il Governo sulle pensioni, sulle questioni fiscali, sugli ammortizzatori sociali…sono assolutamente d’accordo. Mi permetto di dire che noi non siamo in disaccordo su questo. Quando si dice che siamo stati sconfitti sulle pensioni, io dico no! Io penso che uno per essere sconfitto deve aver giocato una partita e noi quella partita non l’abbiamo neanche aperta! Allora dobbiamo capire che se vogliamo aprire una vertenza con il Governo noi abbiamo bisogno di costruire delle proposte e un consenso, che non sia un consenso tra i gruppi dirigenti sindacali ma che sia un consenso con le persone in carne ed ossa che noi rappresentiamo.
Perché se non vogliamo vivere da un’altra parte e se vogliamo cogliere quello che sta succedendo – ci piaccia o non ci piaccia – il consenso sociale che, in questa fase, ha il Governo Renzi è figlio ed è uno specchio anche delle difficoltà e delle cose che noi non abbiamo fatto negli anni precedenti e perché non abbiamo ostacolato, come avremmo dovuto, i Governi che ci sono stati e i processi che sono avvenuti.
Allora dobbiamo dircelo non per accettarlo. Lo dico anche qui, io non ho nessuna intenzione – visto che tante volte si dice questa cosa – di essere usato da questo o da quell’altro rispetto alle discussioni all’interno della Cgil. Proprio per questa ragione, perché noi dobbiamo mettere in campo assieme un’iniziativa.
Badate che ad un Governo che ci dice che non rappresentiamo più nessuno o che rischiamo di non rappresentare più nessuno, la risposta non è – come ho sentito qui da tanti – far finta di dire che non è vero e che siamo rappresentativi a parole. Perché o siamo in grado di dimostrargli che abbiamo il consenso, la rappresentanza dei giovani, dei precari, di quelli che noi vogliamo rappresentare o altrimenti non c’è partita. Non dobbiamo aver paura di nasconderci le difficoltà, gli errori che abbiamo fatto tutti assieme! Se non facciamo questo, badate che è solo questione di tempo, rischiamo di fare la fine delle forze politiche, che hanno prodotto solo l’allontanamento dalla politica. Penso, da questo punto di vista, che proprio sulle politiche industriali e sugli investimenti dobbiamo partire.
Lo diceva qui con molta forza Mirko Lami [Rsu Lucchini di Piombino ndr] e io penso ad una cosa: badate che noi abbiamo bisogno di riconquistare una fiducia con i lavoratori! Perché come esiste l’acciaieria, noi abbiamo di fronte – a volte con accordi firmati da noi – lavoratori e lavoratrici che sono costretti a lavorare a 2-3 euro all’ora. Quelle persone lì che idea possono avere del sindacato? Che idea possono avere di noi? Che utilità possono trovare in noi quando sono lasciati soli di fronte ai problemi che hanno?
Allora, da questo punto di vista, io penso che oltre a rilanciare le politiche, oltre al merito, abbiamo un altro passaggio: possiamo permetterci di continuare a dire che siamo l’organizzazione più democratica del mondo, che non abbiamo problemi e che siamo in grado di superare tutto? Io considero che questo sia un errore!
Non dobbiamo fare delle cose perché ce lo chiede qualcuno o perché ce lo chiede Renzi. Noi abbiamo la necessità di fare davvero una riforma democratica e trasparente di questa organizzazione, perché ce lo chiedono le lavoratrici e i lavoratori, perché ce lo chiedono i giovani, i precari!
C’è un problema che riguarda anche i nostri comportamenti, il nostro modo di lavorare. Lo dico in modo molto secco: qui si parla di casa o di condominio. Scusatemi la battuta: sinceramente io ho vissuto tanti anni in condominio e non capisco questo accanimento verso i condomini. Però, al di là delle battute, io vedo un altro tema. Scusate – può essere che sono io che vivo da un’altra parte – ma qui secondo me il problema non è la casa o il condominio ma è che siamo di fronte ad un terremoto in cui non ci sono più né le case né i condomini.
Siamo di fronte al fatto che il problema che abbiamo è – usando sempre la metafora – oltre la casa e il condominio, se siamo in grado di ricostruire insieme una casa che sia di vetro, trasparente! Questo riguarda non solo la presentazione dei bilanci ma anche la presentazione delle spese, di come spendiamo le nostre risorse, di come prendiamo le nostre decisioni, fino ad arrivare anche ad un codice etico, che ricostruisca anche dei comportamenti morali!
Insisto, mi è capitato di incontrare dei giovani di Brescia in treno e ho sentito che parlavano tra di loro, lavoravano in nero per 3-4 euro l’ora per 12 ore. Quando ho discusso con loro e hanno scoperto che ero un sindacalista, nella loro testa c’era l’idea che ero pagato dallo Stato, che ero uno di quelli che viveva da un’altra parte! Io mi sono posto il problema: ma con quelli lì quando mai ho la possibilità di parlare? Come faccio a convincerli?
Guardate che c’è un problema che riguarda anche noi. Noi dobbiamo rilanciare con forza questo terreno e prima lo facciamo e meglio è. Dobbiamo fare delle scelte che vadano in questa direzione. Allora io penso che questi sono gli elementi che noi dobbiamo affrontare, in modo molto preciso e con molta forza.
Guardate che con la situazione che c’è in giro, noi non è che possiamo fare un Congresso che di questi temi non ha voluto discutere, perché così facciamo una Conferenza di organizzazione nel 2015, perché questi tempi non ci sono più dati.
Non so se io vivo da un’altra parte, ma quello che percepisco, nelle fabbriche, nel Paese, è che noi non abbiamo quel tempo lì davanti, non dobbiamo ragionare di quello che succede a noi, dobbiamo capovolgere il ragionamento. La gente che oggi è nelle fabbriche o che è precaria è pronta a battersi, come ha detto Mirko ma anche come hanno fatto in tanti, perché c’è in gioco la loro vita. Allora, la domanda che mi faccio – scusatemi la brutalità – è se ognuno di noi è pronto a mettere in gioco – come fanno loro – la nostra vita assieme a loro per provare a cambiare questa situazione! Questo è il punto!
Se la Cgil torna a quel punto lì, a queste origini, allora può avere una proposta, altrimenti sarà sempre costretta a discutere a cose fatte.
Su questo punto vedo che c’è un elemento di difficoltà, proprio perché sento – per quello che mi riguarda – una responsabilità. Sono stato rieletto Segretario della Fiom per la seconda volta e ho davanti a me il fatto che, se sto alle regole, tra qualche anno io il Segretario della Fiom non lo faccio più.
Io penso che ognuno di noi si sente delle responsabilità addosso in qualsiasi livello – non è quello che succede a me che non me ne frega nulla di me – ma il problema che ho è cosa lascio io, quando andrò via da qui a quelli che vengono dopo di me! Dico questo perché io ho imparato in fabbrica che se avevo dei diritti – che adesso stanno mettendo in discussione – è perché quelli prima di me si erano battuti per ottenerli.
Allora è qui il punto: la nostra forza non sono i sindacalisti. La Fiom non avrebbe retto questi quattro anni, con tutto quello che gli hanno provato a fare alla Fiat, solo perché c’erano dei sindacalisti e qualcuno andava in televisione!