Emmanuel Chidi Nnamdi è morto lo scorso 5 luglio. Aveva 36 anni. Veniva dall'Africa, aveva iniziato la sua vita in Nigeria, l'ha conclusa nelle Marche, a Fermo. Assassinato. Al termine di una colluttazione iniziata con insulti razzisti e conclusa con un omicidio. Se volontario o preterintenzionale lo stabilirà la magistratura. I giudici, invece, non potranno mai sentenziare sul tasso di razzismo contenuto nelle botte con cui Amedeo Mancini – un po' nazi, molto ultrà – ha massacrato Emmanuel; tantomeno sul perché una consistente parte di città si sia mobilitata in difesa dell'omocida.
Per questo con Emmanuel – con la sua memoria – si sono schierati una serie di associazioni, movimenti, personalità - tra cui Anpi, Cgil, Fiom - costituendo il comitato “5 luglio”. Chiedono verità e giustizia per Emmanuel e per la sua famiglia, si battono contro la rimozione della realtà e dei suoi risvolti più spiacevoli, perché fin dal 6 luglio si sono imbattuti in una gran voglia di rimozione, tra chi cercava attenuanti per Mancini o derubricava l'omicidio a spiacevole rissa. Fino a gettare fango sulla vittima, affiliarlo post mortem alla “mafia nigeriana”e così trovare una giustificazione all'omicida. E a se stessi, alla propria indifferenza.
Quelli del “Comitato 5 luglio” sono molto arrabbiati. E ne hanno tutti i motivi. Anche perché si sentono soli e poco ascoltati. Soprattutto da giornali e giornalisti troppo innamoratri di se stessi, delle proprie relazioni e delle proprie tesi utili a consolare e confermare la “zona grigia” della città: per dimenticare in fretta l'episodio e – soprattutto – confinarlo nei contorni di una cronaca nera del tutto estranea a Fermo, evitando ai suoi abitanti di guardarsi un po' dentro.
Ma quelli del “Comitato 5 luglio” non vogliono arrendersi, anche se più passa il tempo, più si accumulano fango e veleni. Continuano la loro battaglia, con fatti e parole. La scorsa settimana ne hanno usate tante – e forti - in un comunicato che si scagliava contro due giornali accusati di rovesciare i ruoli tra vittima e carnefice. L'abbiamo pubblicato per un paio di giorni su questo sito, perché per la Fiom è cosa naturale la lotta al razzismo e la ricerca di verità e giustizia per le sue vittime. Le minacce di querela hanno poi oscurato quel comunicato, non le ragioni che l'hanno ispirato. Quelle restano intatte, insieme alla nostra partecipazione.