Martedì, 24 Dicembre 2024

[Huffington Post] Le trivelle in mare inquinano: il rapporto di Greenpeace

Le trivelle in mare inquinano. Non è sesto senso, bensì conclusione fatta di numeri e prove empiriche. Lo dicono i dati del ministero dell’Ambiente che Greenpeace ha richiesto a luglio scorso e che oggi vengono resi noti per la prima volta in un rapporto stilato dall’organizzazione ambientalista, anche nell'ambito della campagna a sostegno del referendum contro le trivellazioni petrolifere in mare fissato per il 17 aprile. Huffington Post pubblica in esclusiva il rapporto di Greenpeace (qui sotto in versione integrale).

Si tratta dei monitoraggi condotti dall’Ispra (Istituto per la protezione e la ricerca ambientale). Il quadro che emerge sull’Adriatico è “perlomeno preoccupante”, conclude Greenpeace. I dati si riferiscono al 2012, 2013, 2014.

“I sedimenti nei pressi delle piattaforme sono spesso molto contaminati. A seconda degli anni considerati, il 76% (2012), il 73,5% (2013) e il 79% (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Questi parametri sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67% degli impianti nei campioni analizzati nel 2012, nel 71% nel 2013 e nel 67% nel 2014. Non sempre le piattaforme che presentano dati oltre le soglie confermano i livelli di contaminazione negli anni successivi, ma la percentuale di piattaforme con problemi di contaminazione ambientale è sempre costantemente elevata”.

“Tra i composti che superano con maggiore frequenza i valori definiti dagli Standard di Qualità Ambientale – continua il rapporto di Greenpeace - fanno parte alcuni metalli pesanti, principalmente cromo, nichel, piombo (e talvolta anche mercurio, cadmio e arsenico), e alcuni idrocarburi come fluorantene, benzo[b]fluorantene, benzo[k]fluorantene, benzo[a]pirene e la somma degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Alcune tra queste sostanze sono cancerogene e in grado di risalire la catena alimentare raggiungendo così l’uomo e causando seri danni al nostro organismo”.

Si prendano ad esempio i mitili raccolti nella zona delle piattaforme. “I risultati mostrano che circa l’86% del totale dei campioni analizzati nel corso del triennio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio identificato dagli Standard di qualità ambientale”, si legge nel rapporto di Greenpeace. E “circa l’82% presenta valori più alti di cadmio rispetto a quelli misurati nei campioni presenti in letteratura; altrettanto accade per il selenio (77% circa) e lo zinco (63% circa)”.

Le conclusioni di Greenpeace: “Laddove esistono limiti di legge per la concentrazione di inquinanti, questi sono spesso superati dai sedimenti circostanti le trivelle. Pur con qualche oscillazione nei risultati, questa situazione si mantiene sostanzialmente costante di anno in anno. Non ci risultano però licenze ritirate, concessioni revocate o altre iniziative del Ministero dell’Ambiente atte a interrompere l’inquinamento evidenziato e/o a ripristinare la salubrità dei fondali. A cosa servono questi monitoraggi se non impongono adeguamenti e se non prevedono sanzioni?”.

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