Lunedì, 23 Dicembre 2024

Nuovi contratti, e se fosse una corsa all'ultimo 18?

Una volta all'indomani delle manifestazioni c'era la guerra sui numeri delle persone in piazza. Stavolta invece la sfida è sui numeri delle "Comunicazioni obbligatorie al ministero del lavoro": i nuovi contratti sui quali Poletti-Renzi ci aggiornano in tempo reale, come segnale dell'efficacia dell'azione del governo e dunque vera risposta alla piazza di Landini. Anche se si sa che per un bilancio credibile degli effetti del combinato disposto della decontribuzione e del jobs act bisognerà aspettare almeno l'autunno, le cifre diffuse dal governo non sono da sottovalutare. (Sarebbe anche bello, en passant, se i dati delle Comunicazioni obbligatorie delle imprese continuassero a essere diffusi mensilmente con altrettanta pubblicità). Ma più che usare i numeri per darseli in faccia, sarebbe più utile guardarci un po' dentro. Potremmo trovare indizi sorprendenti. Qui ne evidenziamo uno: e se il piccolo boom di gennaio-febbraio fosse in realtà un effetto della corsa agli ultimi contratti buoni, ex articolo 18? 

Andiamo con ordine. Poletti ha detto che a gennaio e febbraio si sono registrati 154mila contratti in più rispetto allo stesso periodo del 2014 (più 12,5%); di questi contratti, 79.000 sono a tempo indeterminato. Non è possibile sapere quanto di questi contratti siano “nuovi” e quanti derivino dalla trasformazione di rapporti pre-esistenti (per esempio, contratti a termine o collaborazioni che vengono trasformati in posti stabili). Ma è chiara una cosa: c’è stato un aumento delle assunzioni, e la metà di tale incremento riguarda lavori a tempo indeterminato. Dunque, sono cresciute di quasi altrettanto le forme di lavoro meno stabile – prima tra tutte i contratti a tempo determinato, liberalizzati dalla prima manovra del governo, quella fatta nel maggio 2014. Questo dato è interessante, e anche abbastanza nascosto nella comunicazione governativa, che ha voluto invece sottolineare l’efficacia del “jobs act” nel creare lavori a tempo indeterminato: a stretto rigor di termini, però, nei mesi in esame il “jobs act” – ossia la riforma del mercato del lavoro che ha introdotto il contratto a tutele crescenti e abolito l’articolo 18, oltre a una serie di altre disposizioni – non era ancora in vigore. I primi decreti delegati infatti sono operativi dal 7 marzo. Quindi, le 79mila nuove assunzioni a tempo indeterminato di sicuro non sono fatte col nuovo contratto a tutele crescenti. Mentre godono di un altro dei provvedimenti del governo in tema di lavoro, ossia la decontribuzione per tre anni per chi nel 2015 assuma lavoratori a tempo indeterminato: un risparmio che per i datori di lavoro arriva fino a 8.060 euro l’anno, dunque un bell’incentivo a preferire rapporti stabili a lavoretti mordi-e-fuggi.

 A quanto pare gli incentivi hanno cominciato a fare effetto anche prima che si varasse il jobs act. A ben guardare, le assunzioni fatte a gennaio e febbraio sono le ultime per le quali vale ancora l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, attorno al quale si è consumato uno scontro sociale ventennale in Italia. Delle due l’una: o l’articolo 18 è poco più che un simbolo, e davvero per una fascia di imprese è indifferente che ci sia o meno, ben altri essendo i motivi che spingono ad assumere (e allora, non si capisce perché è rimasto il cuore e il termometro di ogni intervento riformatore); o c’è stata una piccola caccia agli ultimi contratti garantiti dall’articolo 18, da parte di lavoratori ‘forti’, che potevano pretendere un’accelerazione dell’assunzione, e in questo caso a gennaio-febbraio potremmo aver avuto un effetto-bolla, una specie di corsa all’ultimo contratto buono. Non è un’ipotesi peregrina. Si pensi a un tecnico specializzato che ha un contratto a termine e che l’impresa non può permettersi di perdere; o un dirigente che deve spostarsi da un’azienda all’altra, licenziandosi dalla prima e facendosi riassumere dalla seconda; o a gruppi di lavoratori in settori trainanti, con forte domanda dall’estero, dunque in grado di porre (alcune) loro condizioni alle imprese. Insomma, gli stessi dati che sono stati agitati da Renzi contro Landini nel giorno della nascita della “coalizione sociale” in piazza a Roma (“Mentre gli altri parlano noi creiamo lavoro”) potevano essere impugnati anche dal leader Fiom dal palco, come un successo degli ultimi “contratti del 18”.

ps: Resta il fatto che un aumento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato non è di per sé un aumento dell’occupazione. E' una buona cosa, ma non necessariamente va a intaccare la montagna dei 3.221.000 disoccupati che abbiamo. Ma questo è un altro discorso.

 

FONTE: http://www.robertacarlini.it/nuovi-contratti-e-se-fosse-una-corsa-allultimo-18

La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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