Certamente il consorzio Airbus è stato a suo tempo un grande successo, così come molti anni dopo sembra esserlo il progetto Galileo, peraltro ancora in corso di completamento; si tratta, per molti commentatori, di due esempi concreti di quello che l’Europa può riuscire a fare quando mette insieme le sue grandi, ma sparse, risorse.
Da molte parti si sottolinea oggi la necessità di portare avanti altri raggruppamenti simili, per far fronte in particolare al dinamismo cinese e a quello statunitense, che minacciano di rendere sempre più marginale il ruolo dell’Europa nel contesto dell’economia mondiale.
Di progetti comuni si parla molto anche in queste settimane; così si è invocato il modello Airbus sia nel caso della recente acquisizione, peraltro monca, della francese STX da parte di Fincantieri (un preteso Airbus dei mari), nonché di quella della Alstom ferroviaria da parte della tedesca Siemens (il cosiddetto Airbus ferroviario), mentre ancora in questi giorni si parla della necessità della creazione di un Airbus delle batterie elettriche, in vista del grande sviluppo previsto a breve, nonostante il curioso e sospetto scetticismo di Marchionne, dell’auto elettrica.
Ma le cose non sembrano per molti aspetti marciare per il loro giusto verso e l’entusiasmo per un qualche segno tangibile di politica industriale europea non sembra in generale superare la prova della realtà.
Intanto i progetti simil-Airbus non sono certo mancati in questi anni, ma i risultati ad oggi appaiono piuttosto magri.
Così nel 2014 si era già messo in opera l’Airbus dei carri armati tra un costruttore francese ed uno tedesco, ma sino ad oggi i frutti non si sono visti molto e l’integrazione tra le due società è ora prevista per il 2020.
Come si afferma in un recente articolo (Bezat, Pietralunga, 2017), c’è, più in generale, un cimitero di progetti simil-Airbus nati morti. Si era pensato a suo tempo ad un Airbus delle energie rinnovabili, di nuovo franco-tedesco, ma se ne sono presto perse le tracce. Nel 2012 si era immaginato un Airbus delle telecomunicazioni, frutto auspicato della fusione tra la francese Orange e Deutsche Telecom, idea finita anch’essa nel nulla e si era anche parlato dell’Airbus del nucleare, chiuso rapidamente con la rinuncia del governo tedesco.
Ora il tema si rianima con le previste fusioni Siemens-Alstom e Fincantieri-STX, nonché con un’idea, lanciata anch’essa in questi giorni, nel campo delle batterie elettriche.
Fincantieri-STX: un accordo pessimo
Alla fine di settembre 2017 il governo francese e quello italiano hanno raggiunto un accordo sul controllo da parte di Fincantieri della francese STX, i cui termini appaiono non solo a chi scrive sostanzialmente negativi e rappresentano un evidente colpo per il nostro paese, trattato in maniera molto differente dai coreani che a suo tempo controllavano la compagnia e ora dai tedeschi che hanno contemporaneamente concluso l’acquisizione di una altra società francese, la Alstom ferroviaria, senza particolari ostacoli.
In effetti, l’accordo prevede una partecipazione paritetica al capitale della STX, ma con i francesi che cederebbero in prestito per dodici anni agli italiani un ulteriore 1% (da ricordare che solo pochi mesi fa un precedente accordo prevedeva il controllo del capitale da parte italiana); tale cessione appare peraltro soggetta a stretti controlli periodici del rispetto da parte degli italiani delle intese sottoscritte. In caso di rottura degli accordi i francesi potrebbero riprendersi indietro la quota.
Si tratta di una norma scellerata, dal momento che sarebbe facile in futuro per i transalpini trovare un pretesto per ritirarsi; si immagini anche soltanto un possibile cambiamento di governo che assumesse un orientamento ostile. Per altro verso, l’Italia sarà soggetta ad un ricatto francese ogni volta che si porrà in futuro una questione sensibile che tocchi gli interessi transalpini nel nostro paese. Nella sostanza tutti gli oneri sono a carico degli italiani.
Il quadro non è peraltro ancora completo perché è ora al lavoro, come è noto, un gruppo di studio italo-francese che dovrebbe presentare nel giugno del 2018 un’ipotesi di intesa per il settore delle navi militari. Nel gruppo di studio sono rappresentati i due governi, ma anche le due imprese coinvolte direttamente, Fincantieri per l’Italia e Naval Group per la Francia.
Si potrebbe trattare di una joint-venture che potrebbe registrare una quota di partecipazione paritetica al capitale. Ma non è escluso che anche su questo fronte gli italiani accettino poi degli accordi capestro. Per altro verso anche in presenza di una compagine 50-50%, il peso della parte francese dovrebbe essere parecchio più forte.
In effetti nel campo militare i francesi posseggono una dimensione, una capacità di spesa e una di penetrazione anche politica dei mercati esteri ben superiore a quella italiana ed appare plausibile che essi faranno pesare la cosa al tavolo delle trattative.
Inoltre va rilevato che nella commissione che dovrebbe stilare l’intesa nel settore militare la Leonardo non è rappresentata in alcun modo, mentre lo è, sia pure indirettamente, la sua rivale Thales, che possiede il 35% del capitale di Naval Group (ex Dcns).
C’è il rischio concreto che dalla STX ed anche dalla Fincantieri sia scorporata la parte militare, che passerebbe alla nuova società, ridimensionando ancora il possibile controllo italiano sui cantieri francesi, mentre la Leonardo potrebbe perdere in tutto od in parte un mercato oggi captive (sempre quello Fincantieri).
Siemens-Alstom: un accordo difensivo
Contemporaneamente, è stato deciso l’avvio di un processo di integrazione tra la francese Alstom e la tedesca Siemens nel settore dell’alta velocità ferroviaria, creando così un gruppo da circa 15 miliardi di euro di fatturato all’anno. I tedeschi avranno il controllo azionario e del consiglio di amministrazione.
Per la società del paese vicino si tratta della cessione dell’ultimo settore rimasto di quello che era stato un gruppo orgoglio del paese (ancora nel 1999 esso era la più grande azienda industriale locale), dopo che sono già passate di mano, una ad una, l’attività elettrica, ceduta agli americani, quella nelle telecomunicazioni, venduta ai finlandesi, mentre i cavi sono andati ad una famiglia cilena ed infine anche gli stessi cantieri navali sono stati ceduti diversi anni fa ai coreani.
L’ex ministro Armand Montebourg ha spiegato chiaramente in un articolo recente (Montebourg, 2017) come egli fosse ostile alla cessione delle attività elettriche agli statunitensi, ma come forze molto potenti guidate dallo stesso presidente della repubblica abbiano spinto a suo tempo in tale direzione. Montebourg chiede ora la nazionalizzazione di Alstom, ma alle sue parole nessuno da retta.
Il fatto che i cantieri navali fossero una volta di proprietà della Alstom e che entrino nella partita appena decisa tra Francia e Germania anche insediamenti del nostro paese, che occupano circa 2600 persone, non sono i soli punti di contatto con la vicenda Fincantieri-Stx e con l’Italia; un altro riguarda il fatto che si cede il controllo delle attività ferroviarie ai tedeschi con molta disinvoltura da parte francese, senza alcuna delle obiezioni che si fanno invece da qualche mese all’Italia per la STX e che del resto non erano state fatte in alcun modo a suo tempo neanche ai coreani e persino ai cileni.
Un altro punto di contatto tra le due vicende riguarda il fatto che dietro di esse c’è da parte francese anche la paura della Cina. Nel caso della fusione Alstom-Siemens la decisione è diventata obbligata di fronte al fatto che da qualche tempo la cinese CRRC, grande peraltro come dimensioni produttive più del doppio della nuova compagine franco-tedesca, riesce a vincere un rilevante numero di gare nel settore, spiazzando tutti gli altri concorrenti. E temiamo che la fusione in atto non riesca a cambiare di molto le cose. E i cinesi si stanno preparando all’entrata in servizio dei loro treni a lievitazione magnetica che raggiungeranno i 600 chilometri orari.
E’ noto, d’altra parte, che tra le preoccupazioni espresse a suo tempo dai francesi per la loro riluttanza a cedere la maggioranza di STX c’era di nuovo la paura della cessione da parte degli italiani delle tecnologie del settore ai cinesi, con i quali gli italiani stanno svolgendo una joint-venture produttiva.
Le batterie: un accordo tardivo?
Ricordiamo infine il caso delle batterie. In questo caso è Bruxelles che vuol mettere insieme un consorzio in stile Airbus per sviluppare la tecnologia delle batterie per mantenere così viva la concorrenza con i cinesi e gli statunitensi. Il consorzio dovrebbe comprendere al suo interno (Toplensky, Campbell, 2017) gruppi chimici, case automobilistiche e produttori di batterie europei. La Commissione metterebbe a disposizione del consorzio 2,2 miliardi di euro.
Come è noto è la Cina, di gran lunga il principale produttore di veicoli al mondo, che sta imponendo lo sviluppo dell’auto elettrica, fissando paletti crescenti all’uso delle motorizzazioni classiche ed incoraggiando in molti altri modi la crescita della produzione anche di batterie. Se aggiungiamo al quadro i produttori sempre di batterie coreani e giapponesi, si può dire che oggi l’Asia domina largamente il settore. Intanto si stanno facendo avanti anche gli statunitensi, in particolare la Tesla.
Se guardiamo poi ai tassì elettrici di Bruxelles ed ugualmente agli autobus sempre elettrici di Londra, prodotti da case cinesi, ci rendiamo conto come le imprese europee sembrino indietro nello sviluppo del settore, anche se adesso stanno cercando di guadagnare il tempo perduto.
Ce la faranno a tornare in prima fila? E’ legittimo qualche dubbio.
Conclusioni
I casi sopra ricordati ci mostrano un quadro significativo di quello che sta avvenendo nel nostro continente sul fronte economico.
Certamente l’integrazione tra le imprese di diversi paesi europei in molti business sarebbe indispensabile per cercare di raggiungere adeguate dimensioni e cercare quindi di difendere qualche posizione in un mondo sempre più dominato da due grandi potenze, Cina e Stati Uniti, con la loro forza economica e politica. Ma da una parte la scarsa armonia politica tra i vari paesi dell’Unione (il caso della STX mostra chiaramente che non si esita a fare anche un gioco sporco), dall’altra la stessa pressione statunitense e cinese, che si manifesta su diversi piani nei due casi, rendono difficile portare avanti adeguatamente la partita. Forse per molti versi è troppo tardi per cercare di alzare in qualche modo la voce, anche se bisogna ancora provare.